martedì 15 ottobre 2013

UNA VERA SQUADRA, E NON SOLO DI CALCIO: IL KOA BOSCO

di Bruno Demasi
  Tra tanti pallonari e palloni gonfiati che pensano di fare integrazione razziale solo parlandone a lungo  nei  salotti televisivi o  parlamentari, finalmente  anche la nostra  Piana, con una piccola squadra di pallone, riesce a dare come non mai   una lezione di coraggio e di concretezza a tutti!
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     La discriminazione razziale stavolta la lasciamo ad altri   e  alla serie A, ai ricchi e agli importanti di turno. A noi basta una squadra di calcio per farci ritrovare finalmente  almeno una briciola di quell’identità perduta che in altri tempi, quanto ad accoglienza, civiltà e tolleranza, ci ha consentito di dare lezioni al mondo conosciuto...

     Si tratta del KOA BOSCO, non solo una squadra di calcio, nata dall’impegno  concretamente antirazzista  di don Roberto Meduri, parroco della chiesa Sant’Antonio di Padova della frazione Bosco di Rosarno , formazione interamente composta da ragazzi africani che disputerà il campionato di Terza Categoria. Una squadra calcistica di tutto rispetto, ma anche un gruppo di persone che finalmente sa fare squadra: Khadim che si occuperà delle pubbliche relazioni, Masseck e Ibrahima, senegalesi, avranno il compito di assistere la squadra durante le partite. Il traduttore Magatte Diop, anche lui del Senegal, come anche il preparatore atletico Mbengue Bassirou, e l’osservatore Amar Alassane. A dare una mano a don Roberto Meduri in quest’iniziativa anche alcuni ragazzi del posto che si stanno prodigando ogni giorno al fine di portare avanti questo progetto che ha una enorme valenza sociale. Come il direttore generale Domenico Bagalà, il responsabile tecnico Domenico Mammoliti, il segretario Angelo Paiano e l’allenatore dei portieri Antonello Meduri.

   Ed è una squadra che non nasce a caso in questo territorio, perchè a Rosarno infatti sono tantissimi i ragazzi africani sistemati nelle tendopoli che arrivano dai loro Paesi in cerca di lavoro e di un futuro migliore. Un’iniziativa, inserita nell’ambito del progetto "Uniti oltre le frontiere",  finalizzata al riscatto sociale degli africani nella Piana e senza scopo di lucro.

     Ne  parla   lo stesso Don Roberto, uno di quei sacerdoti che non stanno a gingillarsi in pietismi  di maniera e progettazioni a tavolino o in cammini di raffinati approfondimenti  formali del proprio essere cristiani, ma si spendono quotidianamente per  la gente e per Cristo:


“... volevamo dare un’opportunità nuova a questi ragazzi africani, una risposta diversa rispetto a quelli che erano gli aiuti che avevamo saputo dargli. Abbiamo pensato di creare intorno a loro un’opportunità che li vedesse, li riscattasse in un certo senso da quello che era accaduto nel 2010, in quel momento si era creata una spaccatura nella società, nei giovani, nei ragazzi che già prima non li vedevano di buon occhio. Poi hanno iniziato a sentire una certa ferita, ma non voglio parlare di razzismo, per quello che era successo. ...Gli abitanti di Rosarno (n.d.r) inizialmente  li hanno boicottati, hanno fatto anche dei danni, quello che hanno potuto, per far sentire il loro rifiuto. C’era questa volontà di lasciarli in quello stato; hanno creato un ghetto con la tendopoli. Gli abitanti dicevano: ”Stanno lì, noi gli diamo del lavoro in nero, ma riconoscergli i diritti, no”. E non parliamo di diritti particolari, ma anche solo quello di poter passeggiare oppure fare una squadra di calcio...  

         All’interno del campo profughi, tra francofoni, anglofoni, ci sono delle spaccature di clan, e delle frontiere che loro si portano dalla stessa Africa. E allora lì, creare una squadra che li faccia giocare insieme, ha un obbiettivo diverso: la prima barriera è la loro, poi c’erano quelle dei giovani che non riuscivamo a coinvolgere in nessuna attività, per non parlare delle barriere sociali, culturali della Calabria rispetto a questi ragazzi.

       Quando facevamo gli allenamenti abbiamo subito dei cori razzisti e delle ingiurie. Pensavano forse che loro potevano essere una minaccia. Questo, almeno a Rosarno è durato poco. È stato bello vederli insieme, proprio spalla a spalla, i giovani di Rosarno ripulire il campo e la zona intorno e fare di quel campo, che era ormai diventato una discarica a cielo aperto, un luogo dove potevano giocare un calcio pulito, almeno per quanto riguarda le scorie che erano rimaste lì e pulito anche nel senso che non era più aggressivo. Poi dopo alcuni piccoli attentati abbiamo dovuto spostarci con gli allenamenti a Polistena e poi siamo finiti a Palmi. A Palmi è stato bellissimo perché ci hanno accolto bene, e loro stanno bene. Anche se vivono nella tendopoli, disputeremo le partite di campionato a Rosarno perché c’è tanta gente che li aspetta e che fa il tifo per loro.”


  Grazie, don Roberto, grazie ragazzi del KOA  BOSCO per la grande lezione di vita che ci state dando e per l’immagine bella della Piana che porterete in giro con le vostre magliette racimolate alla meglio e con le vostre scarpe di pochi soldi che nessuno si sognerà forse mai di sponsorizzare.



domenica 6 ottobre 2013

IL CARISMA DI GUARIGIONE...

     di Bruno Demasi
    Qualche sera fa, di ritorno da Melicucco , dove anche noi avevamo accompagnato un carissimo amico sacerdote nella nuova sede cui Dio lo ha destinato, io e mia moglie, pur  nell'intensa  commozione che ancora ci permeava ricordando la docilità e l'umiltà di questo ministro di Dio che  detesta onori e apparenze ,  che predica il Vangelo "sine glossa" e con l'immediatezza tipica degli apostoli ed esercita la carità in modo incondizionato, ci siamo interrogati a lungo su alcuni carismi che rendono grande e bella la Chiesa di Cristo e ci sono tornate in mente impetuose  le parole di Padre Emiliano Tardif, che la Chiesa  quasi subito  ha proclamato  Servo di Dio, e alcuni canti che hanno accompagnato sempre la Sua predicazione e quella dei suoi eredi spirituali...
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" Un giorno un giornalista colombiano mi chiese: “Lei compie miracoli?”. Risposi: “Niente affatto! E’ molto semplice: io prego e Gesù guarisce”. Il giorno seguente pubblicò un articolo sul giornale, intitolato: “Padre Tardif prega e Gesù guarisce”. Quando lo vidi esclamai: “Finalmente un giornalista ha capito come funziona!”. Il carisma di guarigione è per gli altri, non per se stessi. Se così fosse, quando mi è capitato di ammalarmi, mi sarei imposto le mani sulla testa, avrei pregato e sarei guarito, ma non è così!

Un fine settimana, durante un ritiro a Tucson, in Arizona, per 200 latino-americani, il Signore sanò molti infermi, anche da malattie molto gravi, soprattutto artriti e paralisi. La domenica, alle due del pomeriggio, avevo la febbre molto alta. Ero raffreddato e riuscii a esporre l’ultimo argomento con difficoltà. Finito il ritiro mi misi a letto per un giorno e mezzo. Dicevo: “Se il dono di guarigione dipendesse da me, mi imporrei le mani, guarirei e mi alzerei subito dal letto”. Ma il Signore mi insegnò ancora una volta che non sono io che guarisco, ma è Lui.

Ci racconti una guarigione che le è rimasta particolarmente impressa.

Ne racconterò alcune che mostrano il buonumore di Dio. Nel 1984 stavo predicando un ritiro nella città di Monterrey. Durante la messa era molto difficile distribuire la comunione, perché i corridoi erano gremiti di gente. Aiutato da alcuni sorveglianti mi incamminai verso il retro. Mentre passavo tra la folla, e alcuni volevano toccarmi e altri mi chiedevano di fermarmi a pregare per loro, pensavo : “E’ solo Gesù che può guarirli, ma non smettono di cercare il padre Emiliano…”.

In mezzo a tanta gente vidi una signora con gli occhi lucidi di pianto, con un bambino in braccio. Il piccino mi guardava con dolcezza. Mi ricordai del paralitico della piscina di Betzaetà (Gv 5), che non poteva entrare nell’acqua miracolosa, perché non aveva nessuno che potesse aiutarlo. Così mi avvicinai al bambino e gli diedi un bacio. Mi fece un sorriso e continuai a distribuire la comunione.

Normalmente non do baci mentre distribuisco la comunione, ma in quel momento mi sentii spinto a farlo… Il giorno dopo, la signora prese il microfono e, in piedi davanti alla folla, disse : “Ieri, al momento della comunione, il padre Emiliano Tardif passò vicino a noi. All’improvviso si fermò e diede un bacio al mio bambino di due anni, che era completamente sordo. Do gloria al Signore perché da ieri il mio bambino ha cominciato a udire. Dio lo ha guarito. Gloria al Suo nome!”.

Da quel momento la mia vita si complicò. Tutti volevano essere baciati da me, ma io rispondevo: “I baci sono solo per i bambini. Le signore si facciano baciare dai loro mariti!”. Senza dubbio l’insegnamento fu molto efficace. Io non avevo guarito nessuno. Il bacio, per quanto amore esprimesse, non poteva sanare neppure un mal di testa. La verità è che portavo Gesù tra le mani, e Gesù stesso guarì il bambino sordo. Io sono solo l’asino che porta Gesù, per questo Lui continua a guarire gli infermi. Il peggio sarebbe fissarsi sull’asino e non su chi lo cavalca. Il giorno in cui prenderemo coscienza che portiamo Gesù Cristo, il nostro ministero si trasformerà, e non ci limiteremo più tanto a parlare di Gesù, ma lo lasceremo agire con tutta la sua potenza.

Il modo di guarire di Gesù è così strano, che non posso tacere ciò che è accaduto a Monte Maria, dove ogni domenica si riuniscono più di 50.000 persone per la celebrazione Eucaristica in cui padre Gilberto Gómez prega per gli infermi.
In una di queste celebrazioni l’asta della bandiera del Vaticano cadde e colpì una persona storpia, gettandola a terra. Tutti furono addolorati, vedendo che quell’asta così grande e pesante era caduta proprio su un infermo. Tra lo stupore generale, l’infermo si alzò in piedi da solo. La sbarra gli aveva raddrizzato la colonna vertebrale e a tutt’oggi cammina normalmente. Le vie di Dio sono piene di buonumore. A volte Dio ci guarisce con un bacio, a volte con un colpo.

Qual è l’ostacolo principale che impedisce di ricevere i carismi?

Credo sia la paura di perdere la reputazione. I carismi sono una croce e molti non sono disposti a portarla. L’esercizio di alcuni carismi provoca non poco scherno, disprezzo e persecuzioni. Alcuni ci giudicano pazzi. Finché non si è disposti a morire a se stessi, anche a costo di perdere la fama e i privilegi, non riceveremo questi carismi.

Ricordo molto bene un parroco nei dintorni che si burlava dei carismatici. Nelle sue omelie domenicali assicurava che chi parlava in lingue mancava di vitamine… Molti hanno problemi, non lasciano operare lo Spirito liberamente. Vogliono rinchiuderlo in schemi prestabiliti e non lo lasciano agire con la libertà del vento che soffia dove vuole. Chi ha problemi con il microfono è perché dà troppa importanza al giudizio degli altri.

Se fossimo meno gelosi della nostra reputazione, saremmo più aperti allo Spirito Santo. La paura di cadere nel ridicolo ci impedisce di aprirci ai doni dello Spirito. I carismi certamente sono umilianti, ci portano alla croce. Per questo molti li temono e altri li rifiutano. Tolgono ore al riposo e al sonno. Non migliorano la nostra reputazione, ma ci procurano burle, critiche e sarcasmo... Ma in fondo, se non abbiamo problemi a parlare al microfono, tutto questo si sopporta.

Molti credono che il padre Emiliano Tardif sia un santo, cosa ne pensa?

Ci rido sopra. A volte, mentre sono solo e sto per andare a letto, dico: “Se sapessero chi sono, starebbero più tranquilli”. Sono sempre il curato di un paese, in un’isoletta sperduta nel mar dei Caraibi. Non potrei mai pensare di essere qualcosa di più dell’asino che porta Gesù.
So bene che quando mi coprono di gratitudine, e mi stendono a terra i mantelli, è per salutare Gesù che io porto. E quando l’ho portato, mi rimandano di nuovo nella stalla e al ritorno non ci sono mantelli di fiori né premi: entro nel tempio del mio cuore e dico: “Signore, come sei grande!”.

Il ritorno dell’asino a casa è ciò che ci mantiene umili. La solitudine e restare al cospetto di Gesù non ci permettono di ingannarci. Quando mi inginocchio e celebro con i salmi le meraviglie di Dio, penso che se la gente conoscesse meglio Dio, si fisserebbe meno su di noi. La mia comunità sa che non sono santo, ma che desidero diventarlo. E’ la vocazione di tutti i battezzati. Sbagliamo quando pensiamo che un santo è solo qualcuno che compie miracoli o la cui immagine è sopra un altare.
Per me la santità è molto più di questo: è essere come Gesù. Chi non desidera essere santo? Fin dal battesimo, radicato nella morte e risurrezione di Gesù Cristo, porto in me il germe di santità per il dono gratuito dello Spirito Santo che ho ricevuto senza merito.

Il dono di guarigione non è un segno di santità, è un dono gratuito. Se lo metto al servizio degli infermi con pazienza e amore può contribuire a santificarmi, perché è un esercizio di carità, talvolta molto pesante. Un giorno qualcuno mi ha detto: “Emiliano, non ti spaventa che la gente ti canonizzi da vivo per i numerosi miracoli?”. Ho risposto: “Preferisco che mi credano un santo, piuttosto che un bandito”.

Cosa prova per quelli che non guariscono ?

Provo compassione, ma non li considero defraudati di qualcosa. Preciso che Gesù non ha mai detto che tutti gli ammalati guariranno, ma che avrebbe dato dei segni per evangelizzare. Le guarigioni sono segni che accompagnano l’annuncio del Vangelo, ma non è necessario che tutti siano guariti per credere alla Parola di Dio."

“El don de sanacion”, por el padre Emiliano Tardif. Libera traduzione di Patrizia Cattaneo dal sito :
http://radiocristiandad.wordpress.com/2007/06/14/el-don-de-sanacion-segun-el-p-tardiff/