giovedì 28 marzo 2013

EVANGELIZZARE LA PIANA


  di Bruno Demasi
 Nel tempo della Santa Pasqua e per gli auguri pasquali da parte di  questo piccolo blog affido la riflessione alla penna  di un uomo del nostro tempo, di cui non rivelo il nome... che comunque, specialmente da  due settimane  a questa parte, tutti conoscono.


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       Si è fatto riferimento all’evangelizzazione. È la ragion d’essere della Chiesa. “La dolce e confortante gioia di evangelizzare” (Paolo VI). È lo stesso Gesù Cristo che, da dentro, ci spinge.

1) Evangelizzare implica zelo apostolico. Evangelizzare presuppone nella Chiesa diocesana la “parresìa” di uscire da se stessa. La Chiesa è chiamata a uscire da se stessa e ad andare verso le periferie, non solo quelle geografiche, ma anche quelle esistenziali: quelle del mi­stero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia, quelle dell’ignoranza e del­l’assenza di fede, quelle del pensiero, quelle di ogni forma di miseria (di cui nella piana di Gioia Tauro esiste un campionario infinito... n.d.r.).


2) Quando la Chiesa diocesana  non esce da se stessa per evangelizzare diviene au­toreferenziale e allora si ammala (si pensi alla donna curva su se stessa del Vangelo). I mali che, nel trascorrere del tempo, affliggono le istitu­zioni ecclesiastiche hanno una radice nell’autoreferenzialità, in una sor­ta di narcisismo teologico. Nell’Apocalisse, Gesù dice che Lui sta sulla soglia e chiama. Evidentemente il testo si riferisce al fatto che Lui sta fuori dalla porta e bussa per en­trare... Però a volte penso che Gesù bussi da dentro, perché lo lasciamo uscire. La Chiesa autoreferenziale pretende di tenere Gesù Cristo dentro di sé e non lo lascia uscire.

3 ) La Chiesa, quando è autoreferenziale, senza rendersene conto, crede di avere luce propria; smette di essere il “mysterium lunae” e dà luogo a quel male così grave che è la mondanità spirituale (secondo De Lubac, il male peggiore in cui può incorrere la Chiesa): quel vivere per darsi glo­ria gli uni con gli altri. Semplificando, ci sono due immagini di Chiesa: la Chiesa evangeliz­zatrice che esce da se stessa; quella del “Dei Verbum religiose audiens et fidenter proclamans” (la Chiesa che religiosamen­te ascolta e fedelmente proclama la Parola di Dio – ndr), o la Chiesa mondana che vi­ve in sé, da sé, per sé. Questo deve illuminare i possibili cambiamenti e riforme da realizzare per la salvezza delle anime.


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        Con questa bella immagine di Gesù che bussa anche  per entrare in  questa Piana oppressa da mille problemi o per uscire dalle porte dei palazzi del conformismo e dei poteri piccoli o grandi  in cui lo abbiamo imprigionato, con la voglia di aprirgli e  di incontrarlo davvero, auguro a tutti



Buona Pasqua!

giovedì 14 marzo 2013

LA DIOCESI SI ASSOCIA ALL'ESULTANZA COMUNE PER L'ELEZIONE DI PAPA FRANCESCO

        di Bruno Demasi
  Ho respirato oggi un po' dovunque, a Oppido, come a Gioia, a Taurianova o Polistena, un'esultanza comune per l'elezione del nuovo Papa: è l'acclamazione spontanea di chi vede nel nuovo Sommo Pontefice colui che viene dal mondo dell'emigrazione ,che tanto ha segnato questi paesi nel tempo ed ancora oggi,  colui che conosce la fatica,  i sacrifici e le sofferenze  della povertà da cui sono segnate le favelas argentine, ma anche questi nostri paesi nati in una cornice naturale stupefacente per la sua bellezza, ma cresciuti male e sempre più abbrutiti da mille incurie, da mille soprusi, quasi da una damnatio memoriae che ci induce a distruggere più che a costruire.
  Un Papa a cui affidare, dunque, anche le nostre sofferenze e la nostra voglia di riscatto, sulle cui prime parole, dopo l'elezione, il vescovo di questa diocesi così scrive:

"Due atteggiamenti hanno colpito alla sua prima apparizione: il silenzio immobile e stupito dinnanzi alla folla oceanica che gremiva Piazza San Pietro fino a via della Conciliazione e il chiedere al popolo di Roma – Chiesa, della quale con perfetto richiamo teologico, ha sottolineato essere il Vescovo – di pregare per lui: che bello e inedito quel suo inchinarsi in silenzio orante ! È evidente che la sua esperienza in America Latina lo rende un Papa vicino e in mezzo al popolo nella semplicità e nella essenzialità dei rapporti.
Sarà un Pastore particolarmente attento alle esigenze della base con la dolcezza della Madre e la fortezza del Padre. Il duplice riferimento alla Madonna esprime la fiducia filiale verso la Madre della Chiesa, mentre il primo pensiero al predecessore emerito, Benedetto XVI, indica l’affetto e la stima verso chi lo ha preceduto in un tipo di Magistero e di vita utile alla Chiesa quanto quello che egli impartirà in modo diverso ma egualmente efficace.
La scelta del nome di Francesco sembra richiamare a se stesso il compito di riparare la Chiesa, di spingerla sulla via della bontà e della povertà per assimilarla a Cristo sine glossa sulla più pura linea del Vangelo."

    Ci piace pensare  che  il nostro vescovo quando parla di " esigenze della base" che desteranno l'attenzione del nuovo papa voglia riferirsi non ad altre, ma alle esigenze di quel popolo di Dio, che tra i mille problemi  di ordine pratico ed economico che oggi lo opprimono, vuole  comunque sentirsi parte integrante della Chiesa, al di fuori o al di là di ogni forma di clericalismo di ritorno, che rischia sempre di ripresentarsi sotto mille facce e paradossalmente  di precludere ai "lontani" l'avvicinamento alla Chiesa di Cristo e alla sua bellezza.

 

venerdì 8 marzo 2013

LA TERRA PERSA TRA DISPERAZIONE E SPERANZA ... (una riflessione postelettorale)


  (di Bruno Demasi)
 Mi piace far mia , anzi della Piana, una lucidissima riflessione postelettorale dell’amico Saverio Pazzano, apparsa  in questi giorni su Zoomsud.


    “ Questa terra è persa. Bisogna dirselo, se si vuole riprendersela. Nella retorica del dopo elezioni faccio la conta dei caduti: un intero popolo facebook pronto all'addio, ad andar esule, a prendere la via della montagna. Sono battute, ché tutto resterà com'è e l'andar via, se avverrà, sarà la solita chiamata di mamma emigrazione per cercare lavoro. In realtà siamo andati via ben prima di andarcene...coi semplici numeri, si rischia di ficcarsi in ragionamenti sconvenienti. Servono a governare, ma non è detto che siano il riconoscimento di aver ben governato: a volte esprimono fiducia, è vero. Ma più spesso sono l'espressione di una terra disperata: che sommersa dalla spazzatura, abbrutita da un abusivismo incontrollato, bastonata dalla delinquenza, imbarbarita da un'ignoranza profonda che abita i “palazzi delle decisioni”, non riesce a immaginarsi diversamente, non ne ha il coraggio.

     La resa, prima ancora che abitare nel tracollo dei vari partiti, si riconosce nel silenzio degli intellettuali e dei giovani, nei commenti ironici e sarcastici che abbondano online e che però non sanno farsi, a questa latitudine, stile di vita in grado di scardinare dal di dentro il sistema. Questa è un'altra forma, più pervicace e nociva, di contiguità: gli onesti che si lasciano vivere – con un po' di frustrazione- dentro l'innaturale avaria della giustizia, della politica, della democrazia. È quanto scriveva Alvaro: “ La disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile”. Questa è per me la sintesi esplicativa di alcuni successi elettorali, anche a venire; questa è la sintesi di quanto capita di sentire fra molti giovani; questo è il racconto dei mille e mille precari di qui che, presi per fame e per bisogno, accettano l'inaccettabile... a chi deve insegnarla?

     Forse Alvaro ha profetizzato quel che oggi è avvenuto. L'ho pensato. Poi ho visto i festeggiamenti dei soliti noti per i successi elettorali in Calabria, la felicità degli ex e i loro sogni di gloria e ho capito che ce la faranno ancora e ancora e ancora se si rivotasse domani e domani e domani l'altro.

     Le cose però stanno così: se c'è spazio per distruggere ce ne deve essere anche per ricostruire. E sono tornato a sperare..”


   Tornare a sperare anche nella Piana di Gioia Tauro, certo, ma  cosa?

  Fin quando la coscienza civica e la passione civile continueranno ad essere confezionate sotto vuoto o surgelate  nelle sole redazioni dei giornali, nei salotti massonici o  in quel che resta di essi, nei talk show televisivi  o nelle sedi dei partiti e delle cosche malavitose e non verranno invece  cucinate, spolpate e condivise nelle aule delle scuole e delle università, nei magri posti di lavoro che ancora sopravvivono da queste parti, nel ventre  delle case e delle famiglie  oggi frammentate e avvelenate dai media, ci resterà ben poco da sperare...!


mercoledì 6 marzo 2013

UNA DELLE TANTE STORIE SUI TERRENI CONFISCATI NELLA PIANA

 (di Bruno Demasi)
Dal "Fatto quotidiano" di oggi:

"Nel cuore della Piana di Gioia Tauro, in Calabria, alcuni proprietari di beni confiscati, potrebbero ancora percepire finanziamenti provenienti dall’Unione Europea sottoforma di “titoli” (plafond finanziario annuo che il produttore può ottenere indipendentemente dalla produzione) proprio per gli stessi terreni che lo Stato gli ha sottratto. Il presidente della cooperativa sociale, “Giovani in vita”, Domenico Luppino, ne è convinto. Tanto da aver chiesto alle istituzioni, ed in particolare all’Agenzia nazionale per i beni confiscati, che ha sede proprio a Reggio Calabria, maggiori chiarimenti in merito alla questione. Ad oggi nessuna risposta.

   Tutto nasce quando il Comune di Oppido Mamertina, decide di assegnare alla cooperativa 8 ettari di terreni agricoli di natura uliveto in località Castellace, confiscati al clan Mammoliti. Non appena i terreni sono stati assegnati alla cooperativa di Luppino, quest’ultimo si è recato presso un Centro Assistenza Agricola per richiedere di inoltrare – come previsto dalle normative di politica agricola comunitaria – la domanda di aiuto economico. Ma, in quella sede, la risposta è stata che non si poteva procedere con tale richiesta perché sui terreni confiscati che erano stati affidati in gestione alla cooperativa, “terze persone continuavano a percepire gli aiuti economici”.
      Dunque le stesse persone alle quali era stato sequestrato il bene o loro prestanome, continuano a ricevere aiuti comunitari erogati da un ente dello Stato (Agea o Arcea, il primo statale, il secondo regionale). Alla cooperativa sociale, per capirci, vengono assegnati i beni, la stessa ha l’onere di coltivarli, tenerli in ordine, occuparsi della raccolta dei frutti (olive in questo caso), lavorare con tutti i rischi che implica la gestione di un bene che fu dei boss. Mentre a chi quel bene è stato sottratto, resta la facoltà di intascarsi gli aiuti economici che, sostanzialmente, sono da sempre utili a integrare il reddito dell’agricoltore e proteggerlo da eventuali rischi insiti nel mondo della produzione agricola. A nulla sono servite le richieste d’aiuto di Luppino in questo senso. Né l’Agenzia dei beni confiscati ha risposto alle tante sollecitazioni. La denuncia non è servita neppure a fare un controllo su quei terreni per capire come stanno davvero le cose.
      Succede in Calabria, come potrebbe accadere in ogni altro paese d’Italia. Così come accade che Luppino, che con la sua cooperativa gestisce anche altri beni confiscati a Limbadi, a Varapodio e a Sinopoli, rimanga isolato nella sua battaglia di legalità. “Giovani in vita” nasce come iniziativa socio-economica sul Piano Operativo Nazionale per lo sviluppo del Mezzogiorno d’Italia 2002–2006, un accordo di programma che ha lo scopo di recuperare proprio le persone che sono state in carcere per reati minori o appartenenti a famiglie mafiose. 
     L’unico modo per Luppino, allora sindaco di Sinopoli, di fare qualcosa di concreto in un territorio ad alta densità mafiosa. L’antimafia calabrese ha preso le distanze da questa realtà, soprattutto a seguito della relazione di scioglimento del Comune di Reggio Calabria che cita anche il Consorzio Terre del Sole (di cui faceva parte “Giovani in vita”), accusato di ricevere ingerenze da parte della criminalità organizzata. Non sono state prese in considerazione le innumerevoli intimidazioni – anche piuttosto gravi – che ha dovuto subire la cooperativa in tanti anni di attività. Luppino, nonostante tutto, non si scoraggia e dice: “Chi ha paura e chi deve nascondere qualcosa si ferma. Chi no va avanti”. E va avanti anche in un territorio in cui di antimafia spesso “si campa”.

    Nel territorio della diocesi di Hagia Agathe succedeva anche questo nel lontano A.D. 2013, ma i quotidiani locali, gli esperti e ch.mi  maestri dei mille convegni sulla legalità  non ne parlavano...

...e non solo loro!!!