domenica 16 febbraio 2014

" NON VOGLIO ANCORA SCHIFEZZE NELLA MIA PIANA!!! IO VOGLIO VIVERE!!! "

di Bruno Demasi
   E' questo l'accorato atto di volontà di Federica che, dal suo letto di coraggiosa sofferenza, dalla pagina di fb "La piana di Gioia Tauro ci mette la faccia", ancora una volta ci interpella, ci strattona, ci chiama all'impegno comune con tutta la dolcezza e fermezza di cui è capace.

Grazie, Federica!
Grazie per questa ennesima lezione di vita!
Grazie al "Presidio San Ferdinando in movimento" che già nel settembre 2011 ha realizzato , sotto forma di slideshare, questo coraggioso documento che prendo in prestito  e ripropongo qui, per quanti amano visitare e leggere questo minuscolo blog e per quanti avranno il coraggio di leggere le slides che seguono (basta cliccare sul seguente link attivo):

Gli impianti inquinanti nella Piana di Gioia Tauro



giovedì 13 febbraio 2014

CHI SA COS’E’ IL DAQ DELLA PIANA?

di Bruno Demasi
   Ci sono a volte delle domande esistenziali che attanagliano le persone e non sembrano trovare risposte plausibili, se non all’interno  dell’ astrazione politica pura o...della fantasia più sfrenata oppure, come più spesso accade, ... della barzelletta.
   Quella sul “DAQ” è una di queste domande, già a partire dal significato dell’acronimo che più o meno dovrebbe indicare il “ DISTRETTO AGROALIMENTARE DI QUALITA’”. Una realtà progettuale probabilmente destinata a non andare molto oltre  lo stadio di progetto, patrocinata dal Gal della Piana di Gioia Tauro e da alcune  organizzazioni dei produttori, tendente a dare una prospettiva nuova all'agricoltura pianigiana e dell'hinterland di Reggio Calabria e presentato in pompa magna il 30 gennaio scorso dal presidente della seconda Commissione del Consiglio regionale della Calabria, ''Bilancio, Programmazione economica, Attivita' produttive e Fondi comunitari'', Candeloro Imbalzano, e dall'assessore all'Agricoltura, Michele Trematerra, in  apposita  conferenza stampa.

La fiorente agricoltura nella Piana di Gioia Tauro
   Non voglio assoluatamente entrare nel merito del progetto, che per definizione sarebbe auspicabile si realizzasse, alla stregua di quanto è sempre auspicabile ci sia almeno un movimento di acque nella stagnazione  nauseabonda dell’agricoltura  del comrensorio della Piana e dell”interland” reggino ( che bella cosa la terminologia inglese: riesce a rendere elegante persino la realtà di degrado e di miseria più becera).

     Brevssima cronaca del seguito...

    A poche ore della presentazione del progetto, l’assessore provinciale all’agricoltura Gaetano  Rao dichiarava a Reggio Press:

 “La conferenza stampa organizzata da esponenti autorevoli della Regione Calabria per presentare il Distretto Agroalimentare della Piana di Gioia Tauro e dell’Area dello Stretto mi pare, questa sì, mera propaganda elettorale... . Sono fermamente convinto che così come è stato concepito, lo strumento che si intenderebbe promuovere non possiede i requisiti previsti dalla legge. Non mi pare, infatti, che sui territori interessati insistano produzioni certificate e tutelate tali da suffragare l’esistenza del Distretto di Qualità... . Secondo me stiamo rasentando la follia. Che qualcuno recuperi il senno della ragione ed inizi a parlare di agricoltura vera e di problemi veri... Dove sono i soldi delle calamità naturali 2007 e 2008 che, nel passato, sono stati dirottati altrove? Dove è quell’attenzione straordinaria che l’On. Imbalzano aveva promesso?... Di ritorno ieri a Rosarno, un agricoltore mi ha chiesto in che cosa consistesse l’iniziativa presentata sul distretto agroalimentare di qualità e se avesse a che fare con i danni da cenere vulcanica o se potesse favorire, nell’immediato, l’accesso al credito delle imprese. L’On. Imbalzano provi a dargli una risposta. Ora e non nel 2020!”

    La risposta  dell’assessore regionale  Imbalzano , giunta nella stessa giornata e ripresa da Strilli.it, aveva il seguente tenore:

   La dichiarazione stizzosa e inconsistente dell’assessore provinciale Rao sull’istituendo ‘Distretto Agroalimentare di Qualita’ della Piana di Gioia Tauro si commenta da sola. Il tono utilizzato dimostra in modo lapalissiano che la sua è solo una banale polemica politica, frutto di livore generalizzato verso l’intera Amministrazione regionale... Forse  Rao ha confuso per un qualsiasi convegno quella che era una autorevole conferenza stampa del Comitato promotore e della Regione per presentare un progetto reale, frutto dell’iniziativa, dal basso, del territorio nonché della virtuosa sinergia  tra Dipartimento Agricoltura regionale, GAL della Piana, Organizzazioni rappresentative di centinaia di produttori, Ente Parco dell’Aspromonte, associazioni di Categoria, Consorzio di Bonifica di Rosarno e decine di sindaci... –(l’assessore Rao) ha perso una ulteriore occasione per non abbandonarsi alle sue ormai ben conosciute ‘esternazioni’, frutto evidentemente di una strana ossessione: quella cioè di considerarsi l’unico vero assessore all’Agricoltura dell’intero Paese. Al contrario, pur rinnovandogli l’invito a una virtuosa collaborazione nell’interesse del territorio, credo che prima o poi dovrà farsi una ragione ben diversa di questa nostra iniziativa”.
Caneloro Imbalzano
Gaetano Rao
    Ci siamo! Il battibecco tra i due assessori ( che mi permetto proditoriamente  di accostare, almeno nella foto che illustra questo post, perchè li ritengo più simili tra loro di quanto essi stessi non pensino) , pur facendoci conoscere alcuni retroscena più o meno inediti, più o meno gravissimi (ritardi e modalità abnormi nella concessione dei risarcimenti relativi a calamità naturali pregresse, problemi  insormontabili di accesso al credito da parte  delle imprese agricole, mancanza, a monte, di un minimo di certificazioni di qualità...) , pur facendoci ancora riflettere su quel deserto colturale e culturale nel quale ci muoviamo ormai nella Piana, conferma senza dubbio, come diceva Pirandello, che tutto sommato ...non è una cosa seria. L’ennesima!

domenica 9 febbraio 2014

PERICOLO SMALTIMENTO ARMI CHIMICHE SECONDO IL GOVERNO USA...

      Riprendo integralmente il servizio apparso in questi giorni sul giornale on line Linksicilia

di Gabriele Buonafede

Il Governo-USA ammette pericoli su smaltimento armi chimiche. Quello italiano li nasconde

        Il segretario alla difesa USA Chuck Hagel (nella foto) è stato chiaro: “Come sapete, la vostra missione non sarà facile”, ha detto in un messaggio all’equipaggio della Cape Ray. “I vostri giorni saranno lunghi e difficili. Ma il vostro duro lavoro, la vostra preparazione e dedizione faranno la differenza.”
     E ancora: “Per questo vi saremo sempre riconoscenti. Saremo riconoscenti anche alle vostre famiglie per l’amore e il sostegno che vi danno. A nome del nostro Paese e del popolo americano, vi auguro un successo completo. Prendetevi cura di voi. Dio vi benedica”.
      Parole che sono inconsuete per noi. E che ammettono un certo grado di pericolo nell’operazione, tanto da consigliare il governo americano a incoraggiare, secondo le proprie modalità e la propria cultura, chi se ne dovrà occupare.
La Cape Ray      Strane, inedite parole per noi italiani, impossibili a immaginare da parte del nostro governo che invece ha parlato di “operazione ordinaria”, di “mancanza di pericoli”, di “opuscolo alla popolazione”, per altro mai distribuito.  Insomma, laddove il governo americano mette l’accento su pericoli e onori di una missione evidentemente pericolosa, il nostro governo nasconde, minimizza, si vanta di “eccellenze” che vengono scoperte all’occorrenza. Un vizio antico, purtroppo.
    Da registrare anche la totale mancanza di notizie da parte dell’esecutivo italiano a popolazione e amministrazioni locali che hanno chiesto più volte d’essere almeno informati. Finora tutto è stato vano e le uniche informazioni provengono da giornali e TV straniere o da pochi giornali italiani come il nostro.
     Stupisce ancor più il contrasto nell’atteggiamento. Laddove l’amministrazione-USA ringrazia chi sarà esposto nell’impegno per un’importante missione di pace, il governo italiano non solo non ha informato, ma ha snobbato e trattato come “sudditi” i propri cittadini. Altro che ringraziamenti…
Incontro governo sindaci area gioia tauro_g
      Quando la notizia si è venuta a sapere comunque, Palazzo Chigi si è guardato bene dal ringraziare per lo meno quelle popolazioni che, volenti o nolenti, dovranno tenere il fiato sospeso per almeno una  settimana. Ha persino fatto proposte grottesche, come quella dell’”opuscolo”, e continuato a tacere. L’esecutivo italiano è arrivato a pubblicare, senza vergogna, un video muto e privo d’informazioni sulla tardiva riunione con i Sindaci più direttamente coinvolti: una specie di quei video da “Pravda” stalinista, che al massimo serve per autocelebrare il potere assoluto e segreto. La mappa con il percorso delle armi chimiche siriane nel Mediterraneo così come è stata pubblicata dalla BBC.
       Nel frattempo, emergono una serie di fatti che è impossibile nascondere. Le armi chimiche, transiteranno per alcuni giorni vicino alle coste calabresi e siciliane: i 2-3 giorni in cui l’imponente schieramento di scorta seguirà le due navi cariche di agenti fortemente tossici e le 12-48 ore in cui questi saranno trasbordati a poche centinaia di metri da scuole e abitazioni.
       L’operazione, con tutta ovvietà, provocherà una grande militarizzazione dell’area dello stretto di Messina (molto vicino a Gioia Tauro) e del Mediterraneo centrale con consistenti flotte navali e aeree NATO e non-NATO per una durata di diverse settimane o anche mesi.
La mappa con il percorso delle armi chimiche siriane nel Mediterraneo così come è stata pubblicata dalla BBC.        Il fiato si dovrà tenere sospeso per ben più delle 48 ore annunciate dal governo italiano.  Lo si dovrà tenere sospeso, come si evince dalle parole del Segretario alla difesa americano “per giorni lunghi e difficili”. Non è un segreto, infatti, che il Mediterraneo centrale, e soprattutto il Mar Ionio, sarà in stato di allerta per i tre mesi necessari allo smaltimento di questo primo carico. E si tratta solo di un primo carico, altre centinaia o migliaia di tonnellate di componenti del sarin e dell’iprite aspettano d’essere imbarcate e trasportate nuovamente verso la Calabria.
        La cosa durerà, per stessa ammissione di OPAC e USA, per molto tempo: alcuni mesi come minimo. Che Dio ci benedica. E ci protegga.
          Per il sito ufficiale del Dipartimento della Difesa USA con il comunicato e le parole di Hagel (in inglese)  vai a questo link

http://www.defense.gov/news/newsarticle.aspx?id=121548


venerdì 7 febbraio 2014

L’AFRICA ACCENDE LA LUCE NELLA PIANA... for a new life!


di Bruno Demasi
 

    Negli  innumerevoli centri e parchi commerciali che ormai sovrabbondano in una Piana sempre più prostrata economicamente e i cui 170.000 residenti sono soltanto  una cifra convenzionale sempre più erosa  da forme di emigrazione silenziose e preoccupanti,  le luci che sfavillano ogni sera sono ormai inversamente proporzionali al numero degli acquirenti che si recano  con qualcosa in mano alle casse dei vari esercizi commerciali.
     Sono migliaia, milioni di luci, di leds, ma non riescono affatto a riscaldare più di tanto questo gelido inverno della Piana, specialmente  nella tendopoli,ormai sempre più baraccopoli, di San Ferdinando, nei pressi della quale appena poche settimane fa è morto per il freddo un giovane liberiano. E la situazione è tutt’ora in via di peggioramento, specialmente
da quando i riflettori si sono spostati  dal problema degli immigrati a quello ugualmente drammatico del transito della nave dei veleni nel  vicino porto. I medici di Emergency che operano nella zona  pochi giorni fa hanno segnalato alla Asp di Reggio Calabria  alcuni  casi di scabbia e un focolaio di tubercolosi, per i quali l’unico intervento effettuato è stato a carico del comune di San Ferdinando, il cui sindaco Domenico Madafferi  ha fatto disinfettare più volte le tende, ma non le baracche sorte come funghi nelle quali gli operatori medici si rifiutano di entrare.
     In questo inferno  di freddo senza fine va avanti anche  l’inchiesta della procura di Palmi. Dopo vari sopralluoghi nella tendopoli e l’acquisizione di documenti, il procuratore Giuseppe Creazzo sarebbe intenzionato a incontrare il nuovo prefetto per cercare di smuovere qualcosa, perché la situazione potrebbe precipitare. E se precipitasse, se il sindaco firmasse l’ordinanza di sgombero, dove andrebbero gli immigrati che non trovano posto nella tendopoli? A fare la fine degli oltre duemila “invisibili”, che, come hanno rivelato  ancora una volta molti giornali poche settimane fa,  sarebbero sparsi nelle campagne del rosarnese?

   In questo inferno di buio pochi giorni fa  però si è accesa una luce piccolissima, ma tanto potente da  riscaldare più dei mille e mille leds che illuminano a giorno  i vicini  centri e parchi commerciali... E’ la  luce che si accende nella "la chiesetta dei cristiani", nata su iniziativa di don Roberto Meduri, parroco di S. Antonio al Bosco di Rosarno, coadiuvato dagli stessi immigrati sia cattolici che di altre confessioni cristiane. Una piccola chiesa  nella tendopoli che si illumina, grazie a una batteria, ogni domenica sera per la messa e durante la settimana per momenti di preghiera. C’è un tavolino come altare, alcune panche, una croce di metallo offerta da un artigiano di Rosarno e perfino una piccola campana.. E infatti alcuni momenti di preghiera sono interconfessionali. Prima tutto al buio, come il resto della vita degli immigrati, ora con la luce fornita dalla batteria.
   Un bel segnale di speranza tutto sommato, come la piccola moschea nata in un’altra baracca a poche decine di metri o, come osserva un giornalista di Avvenire,  la baraccopoli sorta in modo ordinato con le baracche tutte in fila quasi fosse un villaggio, con strette vie e piazzette dove gli immigrati mangiano. Ma dietro l’ultima fila di baracche cumuli di rifiuti che nessuno raccoglie (ogni tanto vengono bruciati) e un rigagnolo di acqua sporca, dove scorrazzano cani randagi e qualche pecora. E già perché poco più avanti c’è una sorta di bazar con le baracche spaccio alimentare, le baracche ristoro dove si cucinano e si vendono polli e carne di pecora. Tutto insieme, con ordine ma evidentemente con scarsissima igiene (l’unica acqua calda è quella prodotta su fuoco a lega e venduta a 50 centesimi a secchio).
   Eppure  la vita va avanti: poco lavoro ma tante speranze come ha scritto un immigrato su una maglietta stesa tra le baracche: «For a new life», per una nuova vita. E la domenica mattina, al termine della messa , don Roberto invita spesso gli immigrati a intonare un loro canto in lingua "twi" e i bambini rosarnesi a ripetere il ritornello: «Maria madre di Gesù aiutaci». 
   Ma esiste ancora un ministro di nome Kyenge?

lunedì 3 febbraio 2014

IL 3 FEBBRAIO E IL CULTO DI SAN BIAGIO NELLA PIANA: "La festa dei tre giri"

      Il culto di san Biagio nella Piana di Gioia Tauro, nella diocesi tutta, è uno dei più resistenti e vivi , malgrado le devastazioni iconoclaste perpetrate da  tanto razionalismo, che in qualche modo ha impregato e impregna forse ancora alcune propaggini ecclesiali... Culto legato alla figura e ai carismi taumaturgici (in particolare per tutti i malanni della gola e del ventre ) di questo santo vescovo, operante in tempi in cui ancora si credeva ai carismi di guarigione... , ma singolarmente sentito, vissuto  e partecipato ancora oggi in  tanti piccoli centri, come Scido, San Procopio e Plaesano.
     Proprio la  devozione al Santo in quest'ultimo paesino della Piana nordorientale, ci viene mirabilmente descritta e ricordata  in questa stupenda pagina dalla penna di Umberto Di Stilo, che ringrazio vivamente per questo suo  pregevolissimo intervento sul blog.(Bruno Demasi)

di Umberto Di Stilo

    Ci sono, specie nel Sud, diverse località e piccoli centri conosciuti solo ed esclusivamente per una loro fiera, per il loro santo protettore, per un pellegrinaggio, per un preciso avvenimento che caratterizza la loro stessa identità geografica. Sicchè, nella Calabria reggina, Acquaro di Cosoleto è conosciuto per la festa di San Rocco, Terranova Sappo Minulio per l’annuale pellegrinaggio in onore del “SS. Crocifisso”, Polsi, in Aspromonte, per la sua Madonna della Montagna, ecc.
     Lo stesso discorso vale per Plaesano che da sempre si identifica con San Biagio, con il pellegrinaggio del tre febbraio e con le classiche ed immancabili “tre girate” attorno alla chiesa che costituiscono una delle più genuine e schiette tradizioni di fede della gente di Calabria.

     Plaesano, un pugno di case sommerse in un mare di secolari olivi, vanta origini remotissime e da sempre, ogni anno, il tre febbraio, richiama migliaia di persone di ogni età e condizione sociale.

     Sorto in epoca molto antica, il primo nucleo abitato si costituì presumibilmente attorno ad un castello il cui primo proprietario fu un tal Plagitzanos dal quale successivamente prese il nome di Preizano o, come si legge in diversi documenti, “Praiezzano”.Dalla fine del 1300 al 1850 Plaesano è stato sempre legato a Galatro, prima perchè facente parte dello stesso feudo e della stessa baronia, poi - dal 1835 al 1850 - perchè sua frazione. In atto è frazione di Feroleto della Chiesa e, pur facendo registrare una costante espansione urbanistica, supera di poco i mille abitanti.
      Questi, però, si centuplicano il tre febbraio, allorchè, da sempre, diventa l’ ”ombelico della Piana” tant’è che sin dalle prime ore del mattino, le strade che lo collegano agli altri centri della zona si popolano di pellegrini che vanno a sciogliere i loro voti ai piedi del Santo. Giungono dalla montagna, dalla pianura e dalla valle. Il paese, infatti, è situato in cima ad una collina larga e folta di olivi che si allunga tra due valli, dai monti verso il mare e finisce in un terrapieno qualche chilometro oltre l’abitato; da un lato scende rapida, con fratture e burroni, dall’altro si distende con un pendio dolce e solatìo, in cui i vigneti formano delle chiazze chiare tra gli olivi. Da questa parte si arriva dalla Piana, dopo che la strada ha attraversato l’ampia e luminosa valle del Metramo, verde di aranceti.

     I pellegrini ora arrivano in macchina, giacchè solo quelli dei paesi vicini (Galatro, Feroleto, Laureana) riuniti in allegre e chiassose comitive, seguendo la secolare tradizione locale, raggiungono a piedi il piccolo centro, ma una volta -fino alla fine degli anni sessanta- a Plaesano, il tre febbraio, era un continuo affluire di “massari” sul loro caratteristico carro tirato dai buoi i quali, senza scendere dal rudimentale mezzo di trasporto e prima di entrare in chiesa a venerare e ringraziare il Santo, come tutti gli altri pellegrini, si affrettavano a compiere tre giri con il carro e gli animali attorno alla modesta chiesetta.
     Questa di Plaesano era considerata anche la festa dei massari e, più precisamente, la festa del mondo agricolo e contadino. Non erano pochi, infatti, gli agricoltori che a Plaesano portavano in chiesa (e molti lo portano ancora) un pugno di cereali che, benedetti, mescolavano a quelli della semina assicurandosi così una buona germinazione ed un felice raccolto. Inoltre la festa di Plaesano è ancora conosciuta come la “festa dei tre giri”. E, anche se l’origine di questo antico rito è piuttosto oscura, ancora oggi, ogni persona che si reca alla festa deve compierlo; deve girare tre volte intorno alla vecchia chiesa che ha la facciata rivolta verso la piazzetta ed è circondata da una viuzza stretta come un corridoio.
    Per tutto il giorno è un continuo girare di persone (e, una volta, anche di bestie; di intere mandrie, di armenti al gran completo); il giro non si deve mai interrompere. “E’ un girare uguale e lento come dell’asino legato alla stanga del pozzo, regolare come di un satellite intorno al suo pianeta”, scrisse Fortunato Seminara.

Secondo una ben radicata tradizione, infatti, chiunque raggiunge Plaesano nel giorno della festa del Patrono e trascuri di compiere i tre giri, è da considerare come uno che manchi di rispetto al Santo.

     La cerimonia dei “tre giri”, infatti, non sembra doversi intendere come “deposizione attorno alla chiesa dei mali e delle cattive influenze” ma ha solo il significato di omaggio doveroso al Santo il quale, però, -secondo un’antica credenza popolare- si vendicherebbe con coloro che non si curassero di compiere l’atto di omaggio. I giri devono essere tre perchè nella simbologia cristiana il numero tre rappresenta la Trinità. Secondo alcuni studiosi, invece, i tre giri attorno alla chiesa sono da collegare alle tre apparizioni di Cristo a San Biagio, la notte precedente il suo arresto ed il suo martirio.

    Fra gli aspetti del culto di San Biagio, ricollegabili ad episodi della sua vita, il più importante è quello di taumaturgo per le malattie della gola che trae origine dal noto miracolo della spina di pesce e dalla orazione che il martire avrebbe fatto prima di morire, chiedendo a Dio di risanare da questa malattia chiunque l’avesse pregato in suo nome, ma a San Biagio viene anche attribuita la facoltà di guarire i mali di ventre. A Plaesano quasi tutti i pellegrini arrivano muniti di un frammento di tegola (‘u straku) che, avvolto in un panno di bucato o, comunque, in un pezzo di stoffa, provvedono a mettere in contatto con la statua dl Santo. Lo stesso frammento viene quindi portato a casa per applicarlo sul ventre dei bambini in caso di necessità. In questa evenienza il dolore scomparirà.
     Perchè proprio un frammento di tegola? Pare che fino al 1783 i pellegrini portassero un intero mattone. Il terremoto di quell’anno, però, (era il 5 febbraio, ed il pellegrinaggio in onore del Santo aveva avuto luogo esattamente 48 ore prima dl “flagello”) ridusse tutte le abitazioni della zona in un ammasso di macerie, sicchè l’anno successivo i fedeli, anche in segno della loro precaria condizione di vita, portarono a Plaesano per la consueta benedizione, un piccolo frammento di tegola, ‘u straku, appunto. Straku che, nonostante i progressi fatti registrare nel campo medico e scientifico, ancora oggi, il tre febbraio, molti dei pellegrini che giungono a Plaesano non rinunciano a portare con loro, magari ben celato in moderne e capienti borse femminili. Nessuno, infatti vuole trovarsi sprovvisto nel malaugurato caso che fosse necessario applicarlo sul ventre dolente dei bambini, a mo’ di analgesico, per far sparire il dolore.

      Oggi, era avanzata della tecnologia, a Plaesano il 3 febbraio c’è chi rimpiange il genuino, semplice mondo contadino di un tempo; c’è chi rimpiange la sfilata dei carri agricoli, dei calessi, dei mezzi di ogni sorta che, carichi di persone, intervallati e seguiti da lunghe file di gente a piedi, giungevano al santuario. I carri cominciavano a giungere all’alba ed il loro arrivo continuava ininterrotto fino a mezzogiorno, fino all’ora della messa solenne e della processione della Statua del Santo per le vie del piccolo centro.

       La processione è sempre la stessa, così come è lo
stesso lo spirito  che anima i fedeli che, numerosissimi, seguono la Statua lungo il suo girovagare per le viuzze del paese. Non c’è strada che non sia percorsa dal sacro corteo. Non c’è abitante di Plaesano a cui non sia data la possibilità di vedere sotto il suo balcone la statua del Santo di Sebaste. Poi, nelle prime ore del pomeriggio, tra canti, scoppi di fuochi pirotecnici e sonori rintocchi di campane, accompagnato da una marea di pellegrini, San Biagio fa ritorno in chiesa.
       Nei pressi del sacro tempio i giovani e volenterosi portatori, osservano qualche minuto di riposo per sistemarsi bene sotto la vara. Quindi ripartono e quando la processione giunge nella piazzetta prospiciente la stessa chiesa, ad un segnale convenuto, i portatori, di corsa, fanno compiere alla statua del Santo i “tre giri” sullo stesso percorso e lungo la stessa viuzza dei pellegrini. Sono pochi  minuti di confusione e di fervore indescrivibile. I fedeli, tenendo ben stretti i loro bambini si radunano nella piazza o si addossano ai muri delle case, mentre un complesso bandistico esegue una allegra marcia sinfonica. Tutti gli occhi sono rivolti allo sbocco della viuzza; nell’uscire da quella curva la statua sembra sbandare sulla destra, ondeggia, sembra che da un momento all’altro possa cadere.

      Ogni qualvolta la statua arriva davanti alla chiesa,
i portatori, dimostrando grande abilità, tutti insieme accennano ad una genuflessione. E’ un attimo. San Biagio si piega in avanti verso il sacerdote e gli altri celebranti che, insieme ai fedeli, aspettano la conclusione dei tre giri. Poi riprende la corsa sulle spalle degli abili portatori. E i fedeli, sempre più pigiati tra di loro, trattengono il respiro e pregano. C’è chi si batte il petto coi pugni, chi stringe più forte a sè la propria creaturina, chi si limita a segnarsi devotamente. Sui volti di tutti si legge l’intima partecipazione al particolare momento di fede.
    Ultimati i tre giri, sia pur sfiniti, i giovani portatori riescono a trovare ancora le necessarie energie per gridare “Viva San Biagio” e per far scomparire la statua all’interno della chiesetta, passando tra la folla di fedeli con un rapido sobbalzo.

                                                                                                                         * * *

      Verso l’imbrunire, a poco a poco, i pellegrini riprendono la via del ritorno. Un tempo, quando si spostavano a piedi, ogni tanto una comitiva si fermava lungo la strada, si improvvisava un circolo e si trovava sempre chi era disposto a gonfiare una cornamusa o a mettere mano ad una chitarra. E il pellegrinaggio, improvvisamente, si trasformava in una festa popolare.

     Adesso non più. Adesso il tre febbraio Plaesano è presa d’assalto dalle macchine, dalle motorette e dagli immancabili - come sempre - caratteristici venditori di mostaccioli, ceci (calia) e noccioline.Adesso il rientro a casa delle migliaia di pellegrini è più rumoroso, più scoppiettante ma sicuramente meno allegro e festoso. Lungo le strade, comunque, oggi come un tempo, si respira a pieni polmoni.
      La festa di Plaesano, tutto sommato, è come un presagio di primavera, cioè di vita rinnovata. Talvolta infatti, ma non quest'anno, anche se si è ancora ai primi di febbraio, la stagione è di una clemenza inverosimile, il sole splende tiepido in un’aria ferma e tersa come cristallo. E nelle siepi che costeggiano la strada, qua e là, occhieggia già il biancospino, rendendo più completa e perfetta l’illusione della primavera.