lunedì 28 aprile 2014

E NELLA PIANA SI CONTINUA A MORIRE DI FAME...

di Bruno Demasi
         La conclusione dell’ennesima fallimentare annata agrumicola, che ha prodotto soltanto tanta fame e tanto freddo, e non solo agli immigrati, in una Piana sopraffatta dalle leggi UE che vedono arrivare sui mercati italiani le arance del Maghreb e che non consentono di moralizzare l’uso dei fondi destinati allo sviluppo sociale, coincide quest’anno con la nascita di neocircoli politici intitolati a cani o con i sequestri nel porto di Gioia di quintali di cocaina sotto lo sguardo scandalizzato e indolente dell’opinione pubblica locale e non .       Abbiamo di tutto, ma non abbiamo niente: una condizione politica e sociale neanche da terzo mondo, solo la buona volontà della gente: a Drosi un gruppo di cittadini ha avviato da quattro anni un progetto che permette di accogliere ogni stagione circa cento lavoratori immigrati in abitazioni sfitte del paese tramite il pagamento di un canone minimo. La maggior parte dei migranti vive invece in baraccopoli e casolari abbandonati, nonostante 2 su 3 posseggano un regolare permesso di soggiorno o siano titolari di protezione internazionale o umanitaria.
       L’11 marzo scorso un team di Medici per i Diritti Umani ha distribuito sacchi a pelo termici a 120
migranti impiegati come lavoratori stagionali, costretti a vivere in drammatiche condizioni abitative ed igienico sanitarie all’interno di alcuni casolari abbandonati nelle campagne di Taurianova, Rizziconi e Rosarno. In occasione della stagione agrumicola da novembre a marzo, giungono infatti ogni anno nella Piana di Gioia Tauro oltre duemila braccianti, per la maggior parte dell’Africa sub-sahariana.
        Nonostante nei territori dei Comuni di Rosarno, San Ferdinando, Gioia Tauro, Rizziconi e Taurianova il fenomeno si ripeta ormai da anni con le medesime caratteristiche, le condizioni di lavoro e di accoglienza di questi migranti - sulle cui spalle si regge letteralmente gran parte del comparto agricolo della Piana - continuano a essere disastrose. Nella nuova tendopoli di San Ferdinando, allestita dal Ministero dell’Interno circa un anno fa, le tende possono ospitare fino a 450 persone mentre attualmente il campo contiene circa il doppio di migranti.Solo qualcuno ancora ricorda che nello scorso novembre, un giovane migrante che non aveva trovato posto all’interno del campo, è morto di freddo all’interno di un’autovettura. 
       Dal mese di febbraio a oggi un team di Medu ha prestato prima assistenza medica e orientamento socio-sanitario a oltre 150 lavoratori migranti presso la tendopoli di San Ferdinando e in differenti insediamenti isolati e casolari della Piana di Gioia Tauro. Si tratta per lo più di giovani uomini - l’80% ha un’età inferiore ai 35 anni - provenienti nella maggior parte dei casi da Burkina Faso, Mali, Ghana, Costa d’Avorio e Senegal. In oltre il 70% dei casi i pazienti possedevano un regolare permesso di soggiorno e quasi la metà (45%) era titolare di un permesso per protezione internazionale o per motivi umanitari. Il 95% di essi è in Italia da oltre due anni mentre il 68% ha una conoscenza sufficiente o buona della lingua italiana. L’89% lavora in nero e il 64% percepisce in media 25 euro per un giorno di lavoro o anche meno. Quasi la metà dei migranti (46%) non riesce a lavorare più di tre giorni alla settimana per turni che sono in genere di 7-8 ore giornaliere anche se 1 lavoratore su 4 ha dichiarato di lavorare anche 9-10 ore al giorno. 
        Se la grande tendopoli è stata sostanzialmente abbandonata a se stessa dalle Istituzioni regionali e nazionali che avevano provveduto ad allestirla e che avrebbero dovuto farsene carico - evidente che un piccolo Comune come quello di San Ferdinando non ha la possibilità di gestire una struttura d’accoglienza simile - altri progetti finanziati con fondi ministeriali come il villaggio della solidarietà a Rosarno e i centri di accoglienza di Drosi e Taurianova sono bloccati a causa di un’interdittiva antimafia, nel primo caso, e a problemi tecnici negli altri due’.

mercoledì 23 aprile 2014

A TUTTO TONDO: L'ARTE NEL LEGNO D'ULIVO

di Michele Scozzarra

      Nonostante il periodo di grave crisi, soprattutto occupazionale, che la nostra realtà sta attraversando ormai da diversi anni, perché negare il piacere che ho riscontrato nell’imbattermi in una realtà, di lavoro e di arte, che mi ha reso evidente come, quando le idee hanno gambe su cui camminare e persone che credono che queste idee possano realizzarsi, allora viene fuori l’inventiva, la creatività, il lavoro, e perché no!, viene fuori anche l’arte.
     Questa realtà mi piace immaginarla come un laboratorio, dove possiamo vedere come dalla materia informe ricavata dal legno di vecchi ulivi, nascano delle forme che ci attraggono per la loro bellezza, in un lavoro che s’inserisce, a pieno titolo, nella grande tradizione della realizzazione di opere che richiamano ai grandi artisti che, nella nostra Regione, hanno lavorato il legno nelle varie epoche

storiche.

      “A Tutto Tondo” è un'azienda che nasce e opera a Cittanova, paese che domina la Piana di Gioia Tauro dalla terrazza più alta e si circonda di un maestoso mare argenteo di ulivi secolari. Proprio la presenza di questi "giganti" ha ispirato il perno su cui far ruotare tutta l'attività: la lavorazione artigianale del legno d'ulivo al tornio, per valorizzare un prodotto unico, caratteristico solo di queste zone e dalle origini antichissime.
       Il fascino di queste piante si trasmette al legno, mantenendo dei colori e delle gradazioni che nessuna tavolozza inventata dall'uomo potrebbe mai trovare. Si tratta di un legno duro, ma la fatica, le difficoltà e il tempo necessario alla realizzazione della scultura, sono poi compensate con la straordinaria bellezza delle sue venature. Spesso presenta delle lacerazioni, vere e proprie ferite vicino alle radici dalle forme tortuose, quasi animalesche e che costituiscono la parte più bella del legno offrendoci venature e striature dai disegni fantastici e dalle svariate tonalità di colori. Il legno d'ulivo calabrese rappresenta la migliore qualità tra quelle esistenti nei paesi del Mediterraneo.
      Le sue venature straordinarie conferiscono agli oggetti dei motivi artistici eccezionali. Si arriva quasi a confondere il legno con il marmo, se non fosse per il calore e la morbidezza che si avverte al tatto, nel toccarlo, per questo le peculiarità del legno rendono queste opere dei veri e propri pezzi unici, dove la materia prima usata smette di essere fredda e diventa vivissima.


       “A tutto tondo” si avvale del lavoro di Liana D’agostino e Valentina Alessi che insieme stanno portando avanti un lavoro che affonda le sue radici nei secoli e, attraverso una cultura che non è mai andata persa, ancora oggi riesce a tramandare qualcosa di bello ad una generazione futura, qualcosa anche di duraturo nel tempo che nel legno, trova una delle sue più alte espressioni.
       Mi piace scrivere di questa bella attività, come di una risorsa nella quale investire per il bene della nostra realtà, nella consapevolezza che “l’arte di saper fare bene” anche le cose, apparentemente, più semplici, possa rimanere il valore fondante e la principale ragion d’essere di questo “laboratorio d’arte”.

giovedì 17 aprile 2014

SE NELLA CHIESA MANCA LA PROFEZIA, HA IL SOPRAVVENTO IL CLERICALISMO

 di Bruno Demasi

     Sul fatto che il più grande anticlericale della storia, tale galileo di nome Gesù Cristo ( che originariamente viveva nel Medio Oriente ed oggi vive nel mondo intero accanto a chi lo cerca e a chi non lo rifiuta a priori) un giovedi sera di alcuni anni fa abbia istituito il sacerdozio, non ci sono assolutamente dubbi. I dubbi sorgono quando si tenta di spacciare per missione o ruolo sacerdotale ciò che non  è, in quel caso - ahimè molto frequente ormai - subentra il clericalismo. Io affido la mia riflessione in questo senso a Papa Francesco che mi fornisce gratuitamente titolo e  materia per questo post.

     "Quando manca la profezia nella Chiesa, manca la vita stessa di Dio e ha il sopravvento il clericalismo: è quanto ha affermato Papa Francesco...Il profeta è colui che ascolta le parole di Dio, sa vedere il momento e proiettarsi sul futuro. “Ha dentro di sé questi tre momenti”: il passato, il presente e il futuro:
      “Il passato: il profeta è cosciente della promessa e ha nel suo cuore la promessa di Dio, l’ha viva, la ricorda, la ripete. Poi guarda il presente, guarda il suo popolo e sente la forza dello Spirito per dirgli una parola che lo aiuti ad alzarsi, a continuare il cammino verso il futuro. Il profeta è un uomo di tre tempi: promessa del passato; contemplazione del presente; coraggio per indicare il cammino verso il futuro. E il Signore sempre ha custodito il suo popolo, con i profeti, nei momenti difficili, nei momenti nei quali il Popolo era scoraggiato o era distrutto, quando il Tempio non c’era, quando Gerusalemme era sotto il potere dei nemici, quando il popolo si domandava dentro di sé: ‘Ma Signore tu ci ha promesso questo! E adesso cosa succede?’”.
      E’ quello che “è successo nel cuore della Madonna – prosegue Papa Francesco - quando era ai piedi della Croce”. In questi momenti “è necessario l’intervento del profeta. E non sempre il profeta è ricevuto, tante volte è respinto. Lo stesso Gesù dice ai Farisei che i loro padri hanno ucciso i profeti, perché dicevano cose che non erano piacevoli: dicevano la verità, ricordavano la promessa! E quando nel popolo di Dio manca la profezia – ha osservato ancora il Papa - manca qualcosa: manca la vita del Signore!”. “Quando non c’è profezia la forza cade sulla legalità”, ha il sopravvento il legalismo. Così, nel Vangelo i “sacerdoti sono andati da Gesù a chiedere la cartella di legalità: ‘Con quale autorità fai queste cose? Noi siamo i padroni del Tempio!’”. “Non capivano le profezie. Avevano dimenticato la promessa! Non sapevano leggere i segni del momento, non avevano né occhi penetranti, né udito della Parola di Dio: soltanto avevano l’autorità!”:
      “Quando nel popolo di Dio non c’è profezia , il vuoto   che    essa   lascia   viene  occupato dal

clericalismo: è proprio questo clericalismo che chiede a Gesù: ‘Con quale autorità fai tu queste cose? Con quale legalità?’. E la memoria della promessa e la speranza di andare avanti vengono ridotte soltanto al presente: né passato, né futuro speranzoso. Il presente è legale: se è legale vai avanti”.
        Ma quando regna il legalismo, la Parola di Dio non c’è e il popolo di Dio che crede, piange nel suo cuore, perché non trova il Signore: gli manca la profezia. Piange “come piangeva la mamma Anna, la mamma di Samuele, chiedendo la fecondità del popolo, la fecondità che viene dalla forza di Dio, quando Lui ci risveglia la memoria della sua promessa e ci spinge verso il futuro, con la speranza. Questo è il profeta! Questo è l’uomo dall’occhio penetrante e che ode le parole di Dio”:
         ‘Signore, che non manchino i profeti nel tuo popolo!’. Tutti noi battezzati siamo profeti. ‘Signore, che non dimentichiamo la tua promessa! Che non ci stanchiamo di andare avanti! Che non ci chiudiamo nelle legalità che chiudono le porte! Signore, libera il tuo popolo dalla spirito del clericalismo e aiutalo con lo spirito di profezia’”. (Sergio Centofanti per Radiovaticana, 16.12.'13)



martedì 15 aprile 2014

"TROPPI POLITICI A CASA DEI CAPIMAFIA..."


     E' questo  il titolo  del pezzo che  Ilaria Calabrò ha firmato ieri su "Stretto web", in cui viene messo in primo piano l'appello lanciato dal procuratore Nicola Gratteri  in merito alla discussione sul 416 ter e sulla necessità di innalzare le pene per i reati contro la pubblica amministrazione, strettamente connessi con i reati di ndrangheta...a molti livelli...

    ”Approfittiamo del semestre di presidenza italiana dell’Ue per iniziare a parlare della questione della omologazione dei codici. Per una seria lotta alle mafie, bisogna istituire in Europa il reato di associazione mafiosa”. E’ l’appello che lancia il procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, nella sua audizione in commissione Antimafia. ”In Italia – fa notare Gratteri – e’ possibile fare l’arresto ritardato o il sequestro ritardato, cosa che invece non e’ possibile fare in Olanda, Belgio, Germania, Spagna o Portogallo. La legislazione antimafia italiana – sottolinea – e’ la piu’ evoluta al mondo, anche se non mi appaga e servirebbe riformare i codici. Sfruttiamo allora il semestre di presidenza europea affinche’ almeno per una volta l’Italia possa insegnare la legislazione antimafia a un’Europa che non vuole sentire, perche’ la mafia non e’ un problema solo italiano”. ”Perche’ l’Europa e’ cosi’ piena di latitanti? – ragiona Gratteri nella sua audizione alla bicamerale di palazzo San Macuto – perche’ nessuno li cerca. Se nessuno indaga In Europa, si continuera’ a dire che la mafia e’ una fissazione solo degli italiani. Pensate che in Svizzera ci sono decine di ‘Locale’ di ndrangheta, ma il reato che contestano, analogo al nostro di associazione mafiosa, e’ quello di ‘associazione segreta’, per la quale la pena prevista va da 1 ai 5 anni”. ”In Europa le mafie non sparano alle serrande: vendono cocaina e fanno riciclaggio -rimarca il procuratore aggiunto di Reggio Calabria- c’e’ difficolta’ a fare indagini ma dobbiamo fronteggiare una ‘ndrangheta evoluta e ‘laureata’ sia in Calabria sia nel mondo”.
    ”Dobbiamo essere piu’ seri e innalzare le pene per tutti i reati che riguardano la pubblica amministrazione” ha aggiunto Gratteri, parlando nella sua audizione in commissione Antimafia, della normativa in discussione sul 416 ter, sui rapporti tra mafia e politica. ”Perche’ – chiede Gratteri – e’ meno grave l’accordo tra un mafioso e un politico rispeto al reato al reato di un mafioso che chiede la mazzetta a dieci commercianti?”. ”Il rito abbreviato e il patteggiamento – rimarca Gratteri – sono sconti fatti alle mafie. I mafiosi – taglia corto il procuratore – hanno paura solo di due capi di imputazione: l’omicidio e il traffico internazionale di droga, perche’ per questi reati le pene previste sono alte”.
    ”La ‘ndranghera e’ piu’ forte rispetto a venti anni fa, perche’ e’ piu’ ricca. Sono i politici che vanno a casa dei capimafia a chiedere pacchetti di voti in cambio di appalti. Se questo avviene vuol dire che nel comune sentire si ritiene che il modello vincente e’ quello del capomafia, che interviene anche per un appalto di un marciapiede” ha detto ancora Gratteri, nella sua audizione, ancora in corso, in commissione Antimafia. ”Mai un capo ‘Locale’ di serie A si e’ finora pentito – ha fatto notare Gratteri – la ‘ndrangheta non e’ piramidale come Cosa Nostra, esiste l’unita’ della ‘ndrangheta ma all’interno di una ‘Locale’ nessuno puo’ interferire”. ”La criminalita’ organizzata – ha aggiunto il procuratore reggino – esiste perche’ si nutre del consenso popolare. Se la ‘ndrangheta stessa ferma, verrebbe individuata. E invece vive e si nutre tra di noi. E’ una minoranza ma organizzata”. E anche la religione e’ terreno di conquista o di consenso: ”Gli ndranghetisti sono molto legati alla Madonna di Polsi, custodiscono immagini di S. Michele Arcangelo e, new entry negli ultimi anni, nei covi dei latitanti abbiamo trovate immagini di Padre Pio”.
    ”I soldi illeciti vengono investiti da Roma in su: ‘ndrangheta e camorra comprano tutto cio’ che e’ in crisi. E lo stesso avviene in Europa. Ci risultano decine e decine di locali comprati in Olanda, Gemania e in altri Paesi”, ha detto ancora Gratteri.(Ilaria Calabrò su Stretto Web,14.04.'14)

venerdì 11 aprile 2014

LA SCOMPARSA DI SAVERIO STRATI

UN GRANDE NARRATORE  D'ASPROMONTE  E DEL MONDO 
TROPPO PRESTO DIMENTICATO

di Michele Scozzarra e Bruno Demasi

     E’ morto a Firenze Savero Strati, uno scrittore vero che ha conosciuto l’Aspromonte sul serio, e non solo per esserci nato e vissuto, ma   per avere amato e odiato  visceralmente questa terra sublime . La misura della palude in cui siamo caduti  è l’indifferenza davanti a questo evento, l’ignoranza pressochè totale delle giovani generazioni di uno scrittore che ha aperto nuove vie alla letteratura calabrese e, con le sue opere, ha onorato la Calabria intera e  tutto il Meridione, dando al contempo   grandi lezioni di umanità e di umiltà.

    Nelle nostre scuole superiori, dove si consumano orrendi crimini quotidiani  di voluta   ignoranza della nostra cultura locale, forse pochi docenti hanno proposto ai loro allievi le sue stupende pagine e pochissimi sono riusciti a farli innamorare della nostra letteratura, di cui Strati è un pilastro.

     Con lui infatti  la letteratura Calabrese ha aperto nuove vie perché è diventata più oggettiva e concreta, e meno attaccata al sentimentalismo e al “campanile”, così come lui stesso ebbe a dire: “Per quanto mi riguarda credo che nei miei libri, soprattutto da “Noi lazzaroni” in poi (e sono tanti ormai), non esista per niente il piagnisteo, ma c’è una convincente presa di coscienza dei poveri; inoltre c’è la spinta e l’incitamento a operare da noi, a non aspettarsi che verranno gli altri a salvarci, a risolvere i nostri drammatici problemi”.

     Saverio Strati è stato in grado di gettare un ponte tra la letteratura calabrese e quella italiana, che lui definiva “nazionale” perché riteneva che ogni calabrese è anche italiano: Anzi – sosteneva Strati – ogni calabrese è calabrese, italiano, europeo e, soprattutto, mediterraneo. Quando un’opera d’arte è opera di poesia, non è opera calabrese o italiana: ma è opera d’arte, opera di poesia…”, ma  ha tentato soprattutto  di fare i conti con la realtà calabrese, sempre più inquieta, riuscendo ad afferrarla e esprimerla, nonostante la trasformazione della società che avveniva sempre in maniera più rapida. E il suo dire sulla Calabria non era da lui ritenuto un impegno o un costume, e tanto meno un bisogno nostalgico così come lui stesso ha voluto più volte rimarcare: “Il mio dire sulla Calabria è un peso che ho dentro, un bisogno fortissimo di raccontare; e racconto infatti per liberarmi del peso che mi sta dentro l’essere. Se poi nelle storie, che ormai sono tante, c’è qualcosa di valido tanto meglio per me e anche per la Calabria. Ma una cosa voglio sottolineare, forse orgogliosamente: in nessun momento, in nessuna circostanza gli scrittori italiani mi hanno fatto sentire scrittore marginale, scrittore di una regione depressa…”.

      Il 16 agosto  prossimo avrebbe compiuto novant'anni, e ci  si stava preparando nel suo paese di origine (Sant’Agata del Bianco) al giusto riconoscimento, benché tardivo. Beneficiario dal 2009, perché povero,  del sussidio della Legge Bacchelli (un assegno vitalizio «alla luce degli speciali meriti artistici riconosciuti»), Saverio Strati nel 1977 aveva vinto il premio Campiello con il romanzo "Il selvaggio di Santa Venere”.

    A lui  anche la cultura della Piana di Gioia Tauro deve molto: certi affreschi palpitanti della realtà contadina abbiamo potuto gustarli e farli gustare negli anni Settanta del secolo scorso ai nostri ragazzi attraverso la lettura di “Tibi e Tascia”, un capolavoro narrativo in seguito inspiegabilmente trascurato, o addirittura dimenticato, nelle scuole a favore di romanzetti futuribili e insipidi di dubbio valore artistico…oltre che etico.

    Una studiosa tedesca dell’opera di Strati ha sottolineato che basta leggere una sola pagina di uno dei suoi romanzi, per rendersi conto dell’inquietudine delle popolazioni dell’Europa meridionale e dei calabresi in particolare… Ci auguriamo che questa inquietudine ci spinga a ribellarci al torpore in cui vegetiamo e a rileggere o a leggere la narrativa di questo grande calabrese…senza aspettare i soliti concorsini a premi, in memoria,  banditi nelle scuole con scarso senso dell’umorismo prima ancora che con difetto assoluto di   conoscenza della nostra realtà culturale.

lunedì 7 aprile 2014

"BENVENUTI A PUZZOPOLI" GIOIA TAURO!

di Bruno Demasi
   Quella che dovrebbe essere la città simbolo della Piana a cui dà anche il nome, la città sintesi nel bene e nel male della storia di questo grande lembo di Calabria, sta affogando sotto una coltre impenetrabile di veleni di ogni genere ed a nulla valgono le grida di allarme lanciate dalle associazioni spontanee di malati o di parenti di malati, di cittadini che hanno a cuore la vivibilità di questo territorio benedetto da Dio e maledetto ogni giorno dagli uomini.
   Il servizio giornalistico sfuggito ai più, che è doveroso qui riprendere, ne dà ampia e terrificante ragione:
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" INCENERITORE, RIFIUTI TOSSICI, MAFIA, COCAINA E IL SILENZIO DEI POLITICI.
 

    Benvenuti a Puzzo-poli”. “Benvenuti nello scempio italiano”. Striscioni di benvenuto per chi arriva a Gioia Tauro. Ma è roba di vecchie proteste, antiche delusione e perenni inganni per la trasformazione della piana di uliveti e aranceti in una “Monnezza Valley”. Puzza l’inceneritore, il più grande della Calabria, ammorba l’aria il depuratore, fa paura il nuovo impianto di pirolisi, considerato un terzo terribile bruciatore di monnezza. Avevano promesso lavoro, industrie, benessere, ma nelle tre aree industriali che circondano il grande porto, i capannoni sono vuoti, nella desolazione crescono le erbacce e pascolano capre e pecore. Non bastasse questo, i calabresi di Gioia ora hanno paura anche dei container che ogni giorno vengono scaricati nel porto. 
     ED È QUI L’ERRORE tragico del governo e dei suoi incauti ministri. La gestione della “Ark Futura” e dei 60 container con le armi chimiche di Assad è finora un disastro. Un festival dell’arroganza. Parla il milanese Mauro Lupi e “bacchetta” i sindaci. “In due anni a Gioia Tauro sono stati trattati prodotti analoghi, e ora fate tanto clamore”... Nessuno ha mai avuto notizie. Che il porto di Gioia Tauro fosse un approdo dei misteri si sapeva da anni. Qui passano armi, rifiuti speciali, droga. L’ultimo grande sequestro a giugno: 625,48 chili di cocaina.
      Che il porto sia anche il crocevia di affari oscuri, lo dimostra la presenza della ‘ndrangheta. Piromalli, Molé, Alvaro, casati con gli artigli ben piantati sulle banchine. Un dollaro e mezzo a container sbarcato fino agli anni ‘90, raccontano le inchieste della magistratura. Tanto pagavano le grandi compagnie ai boss. La chiamavano la “tassa calabrese”. Una montagna di soldi, se si calcola che i “contenitori” che sbarcavano ogni giorno erano 7.500. “Noi non sappiamo sempre cosa c’è nei container”, confessa un operaio. “Ci sono le bollette, i controlli doganali, ma qui passa di tutto”.
        Di certo nessuno al porto aveva i dati ...“La verità è che ci pisciano in testa, come sempre”. Mimmo Macrì, segretario dei portuali del sindacato Sul, non usa mezzi termini. “Certo che movimentiamo anche materiale come prodotti chimici ed esplosivi, ma non pericolosi come la roba dalla Siria”. Perché Gioia? Perché non un porto militare? Il porto militare più vicino è quello di Augusta, ma sta in Sicilia, sottolineano i maligni, ricordando che la Trinacria è la terra di Alfano. Abbiamo scelto Gioia, ripetono all’unisono i ministri, perché è un “porto di eccellenza”. “Minchiate – dice Macrì. La nostra professionalità è fuori discussione, ma allora spiegateci perché su 1.300 lavoratori portuali, 430 sono in cassa integrazione. La movimentazione è aumentata del 13% e quest’anno siamo arrivati a 2 milioni e 200 mila container. Insomma se questa eccellenza, come la chiamano, funzionasse a pieno regime, potrebbe dare lavoro a 6-7 mila persone”.
    ILLUSIONI. I sindacati aspettano. Anche loro, come i sindaci, non sono ancora riusciti ad avere una parola di chiarezza. Spacca i lavoratori l’arsenale di Assad. “Non possiamo sempre urlare dei no – dice Nino Costantino, Cgil. L’abbiamo fatto contro la centrale a carbone, ma qui parliamo di pace. Ora però il governo dica parole nette sulla sicurezza”.
      Sulle banchine del porto di Gioia Tauro, la politica gioca un’altra delle sue confuse partite ...
      Povera Gioia Tauro e poveri calabresi. Porto e aree industriali dovevano essere il futuro. La catena del freddo, le piattaforme logistiche. Quante balle. La verità è la solita. Sprechi di soldi pubblici e incapacità di avviare progetti. I 480 milioni dell’accordo di programma sono fermi, un bando di 25 milioni di euro emanato dalla Regione per le attività dei piccoli imprenditori è andato deserto. I treni non circolano più, nonostante i 260 milioni stanziati per le Ferrovie. A Gioia Tauro cresce solo la puzza degli inceneritori e la paura." (E. Fierro, "Il Fatto Q.,18.1.'14)



mercoledì 2 aprile 2014

...MA NELLA PIANA SI MUORE ANCHE DI AMIANTO...


di Bruno Demasi
  Il rischio vero oggi è quello di insistere   solo sul fantasma (purtroppo più che reale) dei rifiuti radioattivi disseminati non si sa da chi e come e quando sulle nostre montagne, un fantasma che però stranamente non è mai andato oltre la sua dimensione romanzesca , non ha mai visto accertamenti precisi (ci vorrebbe veramente tanto per farli?) e soprattutto non ha mai partorito  accuse altrettanto concrete e almeno una prima, sia pur vaga,  individuazione di responsabilità.
    Se si escludono le recenti dichiarazioni  coraggiose  di Cafiero De Raho in merito, il tutto viene lasciato alla sua dimensione ormai quasi leggendaria e letteraria (molta pubblicistica, moltissimi seminari nelle scuole, conversazioni salottiere fini a se stesse nei
talk show delle emittenti locali e nazionali).  Quasi un ricorso storico, per cui se ieri si accusavano i presunti briganti (quattro cenciosi sfigati incappati nel rigore da barzelletta della Legge dell’epoca) come responsabili di tutti i mali della nostra provincia, e della Piana di Gioia Tauro in particolare, e coerentemente con la logica dell’epoca, li si braccava, uccideva e poi fotografava  come reperti da museo lombrosiano, oggi la responsabilità di tutti i mali ( nel senso proprio del termine)  della nostra terra viene scaraventata sugli
gnomi di montagna che di nascosto  hanno seppellito chissà quanti pentoloni pieni di veleno sull’Aspromonte e che nessuna sa dove siano e dove si nascondono. Stop.
    Ci siamo chiesti a chi fa comodo fermarsi in modo gattopardesco solo  su questi capi d’accusa nei confronti di tutti e nessuno? Non è che si voglia per caso sviare l’attenzione non solo dei media, ma soprattutto della gente, della gente che muore, dai mille veleni neanche tanto nascosti di cui sono disseminati giorno per giorno   i nostri paesi e le nostre campagne?
    A quanti è venuto in mente di controllare le discariche abusive che da sempre sono i letti delle nostre fiumare? I mille e mille tetti in eternit che ancora sussistono a ridosso di case, scuole e asili, se non a copertura di essi? A quanti è venuta voglia di controllare con quale rigore scientifico - e  in quali quantità abnormi -  si usano diserbanti e concimi  chimici nelle nostre terre? A quanti responsabili della salute pubblica è venuto in mente di quantificare le cariche di diossina che giornalmente esalano da mucchi di rifiuti bruciacchiati ai crocicchi dei paesi? Per non parlare di quanto ogni giorno passa per il porto di Gioia Tauro...vorremmo saperlo!
    Appena un mese fa ( 4.3.2014)  sul giornale on line “Qui Cosenza” (chissà perché nessun altro organo ne ha parlato) si leggeva:  “ Gli uomini del comando provinciale di Reggio Calabria hanno denunciato tre persone dopo
aver individuato e sequestrato altrettante discariche abusive nella piana Gioia Tauro. L'operazione, condotta dai Finanzieri del Gruppo di Gioia Tauro, ha permesso di individuare tre aree private, per una superficie complessiva di oltre un ettaro, pari a 2 campi di calcio, trasformate in vere e proprie discariche abusive a cielo aperto, localizzate tra i comuni di Gioia Tauro, Rosarno e San Ferdinando. All'interno delle discariche, secondo quanto reso noto, sono stati trovati ingenti quantita' di materiali particolarmente dannosi per la salute pubblica, quali lastre di eternit, pneumatici, carcasse di autovetture e di elettrodomestici, oltre che inerti derivanti da attivita' di scavo e demolizione edile. Le due aree sono state sottoposte a sequestro ed i responsabili sono stati denunciati a piede libero alla Procura della Repubblica di Palmi per violazioni alla normativa ambientale.”
   Notizie come questa non fanno storia evidentemente, ma fanno  tristemente storia le centinaia di decessi per tumore che mensilmente si continuano a registrare nei 33 comuni della Piana.
     Vogliamo per caso  continuare solo  a combattere  contro gli gnomi di montagna ed inebriarci di storie da far west nostrano o vogliamo denunciare sul serio i rischi concreti che non sono solo  sepolti nei pentoloni sotto le faggete dell’Aspromonte, ma ce li abbiamo quotidianamente sotto i nostri occhi nell'indifferenza generale?