domenica 9 aprile 2023

CHRISTOS ANESTI ANCHE SULL'ASPROMONTE E NELLA CALABRIA INTERA ( di Bruno Demasi)

                                          di Bruno Demasi
     

  
Χριστός ανέστη - Christos anesti! Questo l'augurio che in epoca bizantina, quando prosperava come baluardo di civiltà l'antica diocesi di Oppidum ampiamernte decumentata, risuonava anche  su queste terre d'Aspromonte, sui villaggi della valle disegnata dal grande bacino del Metauro - Marro, detta anche   Valle delle Saline, all'alba di Pasqua: "Christòs anèsti" - "Cristo è risorto", un annuncio cui si rispondeva immancabilmente affermando ad alta voce:  "Alithòs anésti" - "E' veramente risorto!" E che quest'annuncio dalle nostre parti fosse molto  usuale e fondamentale lo testimonia tutt'ora una consuetudine non da poco che si sta perdendo: il giuramento più serio, solenne ed importante, fino a pochi anni fa e ancora oggi  nel dialetto  dei più anziani si fa  chiamando a testimone sacra l' Anesti ( la resurrezione) del Dio fatto uomo.
 
   Era l'annuncio senza orpelli di una fede spontanea tramandata dai padri e dalle madri, che non aveva bisogno di grandi immaginifiche liturgie per crescere o forse per spegnersi lentamente, ma che si faceva carne nella dura vita quotidiana. Era il corrispettivo del  pianto della Madre davanti alla sorte del Figlio, qui ripreso  in modo esemplare  dalla grande e compianta  Irene Papas e da  Vangelis che riecheggia nel motivo e nel ritmo incalzante e monodico le lamentazioni delle nostre donne antiche durante i canti dialettali della settimana santa (O gliki mou ear), ma anche il loro canto di giubilo per la Resurrezione
 

         Con quest'annuncio antico e sempre nuovo voglio augurare a tutti  gli amici che mi leggono su questo blog Buona Pasqua! Buona resurrezione da ogni infelicità, da ogni forma di odio o di indifferenza o di paura!
 

     Christòs anesti!! Quel Cristo che all'alba del giorno dopo il sabato di 1990 anni fa non era più nel sepolcro, ma nella gloria e del quale l'umanità tutta si sforza ancora oggi di conoscere le sembianze. Quelle vere non le avremo mai, ma due si avvicinano più delle mille e mille altre che esistono create da mano d'uomo: sono la ricostruzione (in basso) che la NASA ha fatto del volto dell'uomo della Sindone e l'icona del Pantocrator (foto più grande e più in alto della prima) che si trova nel Monastero di Santa Caterina sul Sinai.
 

      Quest'ultima  mi ha sempre affascinato per l'eloquente e serena dolcezza del volto deturpato dalle percosse subite e per l'incisività dello sguardo profondo.  Secondo la tradizione, è la più vicina alle sembianze vere del Cristo. Sicuramente è la più antica giunta intatta fino  ai giorni nostri . Risale infatti alla prima metà del IV secolo, dipinta su tavola con tecnica a encausto (il colore si unisce alla cera a caldo). La sua conservazione è dovuta al luogo dove è stata tenuta e cioè nel monastero di Santa Caterina del Sinai (una fortezza costruita nel deserto per proteggere i monaci tra il 548 e il 565 dall’imperatore Giustiniano).La tavola misura 84x45,5 cm e risulta tagliata. Il Cristo dovrebbe essere seduto su un trono che si scorge dietro le sue spalle. Ha il nimbo (aureola) crociato, su fondo oro-verdastro cosparso di stelle dorate. È raffigurato frontalmente anche se si intuisce una leggerissima   
torsione e il suo sguardo va sempre oltre. La sua veste (maphorion) forse inizialmente era rosso porpora perché era il colore imperiale.
    La mano destra è benedicente mentre con la sinistra regge un libro tempestato di pietre preziose.Degli studiosi statunitensi hanno sovrapposto questa immagine al volto dell’uomo della Sindone e, con sorpresa, hanno trovato degli elementi in comune e più di 250 punti di sovrapponibilità ( si consideri  che negli Stati Uniti bastano 60 punti per stabilire l’identità o la similarità di due immagini).
      Gli elementi in comune sono quelli che si ritroveranno poi in tutte le icone successive del Cristo, che probabilmente da questa hanno avuto tutte origine. Eccone alcuni:
- Il volto è asimmetrico: le guance sono diverse perché una è tumefatta e per tale motivo le sopracciglia non solo allo stesso livello. Se l’icona fosse stata inventata senza avere un modello, l’artista non avrebbe fatto tali errori! 
- Nelle icone di solito ci sono due o tre ciocche di capelli sulla fronte: nella Sindone compare un rivolo di sangue a forma di 3 rovesciato. Gli artisti, vedendo il telo in positivo, potevano pensare che erano dei capelli. 
- Nelle icone alla radice del naso spesso si trova un segno di un quadrato e una specie di “V”; anche nella Sindone compare, probabilmente dovuto alla trama del tessuto. 
- La barba è bipartita e anche i baffi non sono simmetrici. - Tra le guance e i capelli vi è un po’ di stacco e così essi appaiono lontani dal viso. 
- Gli occhi sono, nell’icona, spalancati e grandi: nella Sindone in positivo gli occhi sembrano aperti. 
- Naso lungo e diritto, orecchie piccolissime, non anatomicamente disegnate, la bocca piccola. 
- In coincidenza con la mano destra che benedice vi è la ferita del costato destro. 
     Dicono che  davanti a questa icona Romano il Melode (+ ca. 560) pregava
in questo modo:
 
 Possa io vedere la tua immagine divina, con coscienza pura, e proclamare: A te conviene onore e adorazione, al Padre, al Figlio con lo Spirito, da tutta la creazione e sempre, nei secoli dei secoli, o Amico degli uomini”.

     A  questa invocazione mi unisco insieme a quanti leggono questo piccolo post pasquale.