venerdì 11 aprile 2014

LA SCOMPARSA DI SAVERIO STRATI

UN GRANDE NARRATORE  D'ASPROMONTE  E DEL MONDO 
TROPPO PRESTO DIMENTICATO

di Michele Scozzarra e Bruno Demasi

     E’ morto a Firenze Savero Strati, uno scrittore vero che ha conosciuto l’Aspromonte sul serio, e non solo per esserci nato e vissuto, ma   per avere amato e odiato  visceralmente questa terra sublime . La misura della palude in cui siamo caduti  è l’indifferenza davanti a questo evento, l’ignoranza pressochè totale delle giovani generazioni di uno scrittore che ha aperto nuove vie alla letteratura calabrese e, con le sue opere, ha onorato la Calabria intera e  tutto il Meridione, dando al contempo   grandi lezioni di umanità e di umiltà.

    Nelle nostre scuole superiori, dove si consumano orrendi crimini quotidiani  di voluta   ignoranza della nostra cultura locale, forse pochi docenti hanno proposto ai loro allievi le sue stupende pagine e pochissimi sono riusciti a farli innamorare della nostra letteratura, di cui Strati è un pilastro.

     Con lui infatti  la letteratura Calabrese ha aperto nuove vie perché è diventata più oggettiva e concreta, e meno attaccata al sentimentalismo e al “campanile”, così come lui stesso ebbe a dire: “Per quanto mi riguarda credo che nei miei libri, soprattutto da “Noi lazzaroni” in poi (e sono tanti ormai), non esista per niente il piagnisteo, ma c’è una convincente presa di coscienza dei poveri; inoltre c’è la spinta e l’incitamento a operare da noi, a non aspettarsi che verranno gli altri a salvarci, a risolvere i nostri drammatici problemi”.

     Saverio Strati è stato in grado di gettare un ponte tra la letteratura calabrese e quella italiana, che lui definiva “nazionale” perché riteneva che ogni calabrese è anche italiano: Anzi – sosteneva Strati – ogni calabrese è calabrese, italiano, europeo e, soprattutto, mediterraneo. Quando un’opera d’arte è opera di poesia, non è opera calabrese o italiana: ma è opera d’arte, opera di poesia…”, ma  ha tentato soprattutto  di fare i conti con la realtà calabrese, sempre più inquieta, riuscendo ad afferrarla e esprimerla, nonostante la trasformazione della società che avveniva sempre in maniera più rapida. E il suo dire sulla Calabria non era da lui ritenuto un impegno o un costume, e tanto meno un bisogno nostalgico così come lui stesso ha voluto più volte rimarcare: “Il mio dire sulla Calabria è un peso che ho dentro, un bisogno fortissimo di raccontare; e racconto infatti per liberarmi del peso che mi sta dentro l’essere. Se poi nelle storie, che ormai sono tante, c’è qualcosa di valido tanto meglio per me e anche per la Calabria. Ma una cosa voglio sottolineare, forse orgogliosamente: in nessun momento, in nessuna circostanza gli scrittori italiani mi hanno fatto sentire scrittore marginale, scrittore di una regione depressa…”.

      Il 16 agosto  prossimo avrebbe compiuto novant'anni, e ci  si stava preparando nel suo paese di origine (Sant’Agata del Bianco) al giusto riconoscimento, benché tardivo. Beneficiario dal 2009, perché povero,  del sussidio della Legge Bacchelli (un assegno vitalizio «alla luce degli speciali meriti artistici riconosciuti»), Saverio Strati nel 1977 aveva vinto il premio Campiello con il romanzo "Il selvaggio di Santa Venere”.

    A lui  anche la cultura della Piana di Gioia Tauro deve molto: certi affreschi palpitanti della realtà contadina abbiamo potuto gustarli e farli gustare negli anni Settanta del secolo scorso ai nostri ragazzi attraverso la lettura di “Tibi e Tascia”, un capolavoro narrativo in seguito inspiegabilmente trascurato, o addirittura dimenticato, nelle scuole a favore di romanzetti futuribili e insipidi di dubbio valore artistico…oltre che etico.

    Una studiosa tedesca dell’opera di Strati ha sottolineato che basta leggere una sola pagina di uno dei suoi romanzi, per rendersi conto dell’inquietudine delle popolazioni dell’Europa meridionale e dei calabresi in particolare… Ci auguriamo che questa inquietudine ci spinga a ribellarci al torpore in cui vegetiamo e a rileggere o a leggere la narrativa di questo grande calabrese…senza aspettare i soliti concorsini a premi, in memoria,  banditi nelle scuole con scarso senso dell’umorismo prima ancora che con difetto assoluto di   conoscenza della nostra realtà culturale.