giovedì 31 luglio 2014

IL PENNELLO DI DANIELE CHIOVARO ILLUMINA LA PIANA

LA STUPENDA MOSTRA PITTORICA VOLUTA DALL'ADDA
 di Bruno Demasi
    Daniele è stato mio maestro, modello di vita, educatore, a partire dal 2011, per due anni di fila nel Liceo “San Vincenzo”, lo splendido istituto scolastico di Reggio Calabria delle Suore della Carità , da sempre e oggi più che mai – fortunati Reggini - di assoluta eccellenza per gli studi, ma anche per l’ accoglienza intelligente e seria che sa garantire. Lui ,alunno diciassettenne e saggio, io sessantenne presuntuoso e indomito che pretendeva di dargli delle lezioni e degli aiuti, ma che presto si è accorto di poter al massimo essere discepolo di
questo giovane cultore e dispensatore di pazienza, garbo, allegria, bontà. E insieme a lui i due fratelli più piccoli, allievi dello stesso istituto: Simone, che frequentava le ultime classi della secondaria di I grado, ed Emanuele, alunno di scuola primaria e poi di scuola secondaria di I grado. Tre esempi del coraggio di crescere e vivere e donare, malgrado la sindrome di Duchenne abbia progressivamente addormentato i movimenti dei loro arti con la stessa fretta con cui diventavano e diventano accesi ed acuti il loro spirito di osservazione e la loro voglia di esprimersi. Tre persone che parlano con gli occhi e
   con il cuore prima ancora che con la bocca e che ti insegnano la vita momento per momento, come diceva sempre col suo sorriso squillante e i suoi modi raffinati la grande Suor Renata, che instancabile e allegra, guidava abilmente le loro carrozzelle all’entrata e all’uscita di scuola per i lunghi corridoi dell’Istituto e sugli ascensori.
     Ecco, potrei concludere qui questo ricordo vivissimo che riguarda una breve, ma intensa stagione della mia esistenza nella quale, dopo oltre un quarantennio tutto speso nella scuola, mi ero accorto che pretendevo di aver imparato di tutto, ma non la cosa più seria e importante in assoluto:           l’attenzione agli altri.    Quella vera!      Quella fatta
soprattutto di disponibilità all’ascolto e alla condivisione del tempo : quanto rimpiango le pause caffè condivise spesso con Daniele a guardare dall’alto i suoi compagni e le sue compagne intenti a sudare al basket dabbasso nella palestra scoperta o a chiacchierare dei suoi progetti post liceo! Avrebbe voluto frequentare l’Accademia di belle arti di Reggio già da quest’anno, ma una statica e pigra visione dei problemi logistici esistenti glielo ha impedito…!
    Sarebbe bastata un po’ di fantasia, nell’italietta
globale e nella realtà territoriale da quattro soldi in cui viviamo e in cui si sperperano ogni giorno miliardi, per inventare un’ Accademia se non a norma con le leggi relative all’accesso dei diversamente abili ( il che è già gravissimo!) , almeno capace di garantire, in un progetto FSE neanche tanto costoso ( a fronte dei milioni di euro impiegati in Calabria in ridicoli progetti P.O.R. e P.O.N.) , lezioni, esercitazioni ed esami a domicilio per consentire a Daniele di coltivare la passione di sempre: la pittura!
   Una passione che nel suo caso diventa immagine
sia attraverso il pennello mosso dalla bocca sia, soprattutto, attraverso il colore impastato e reinventato dal cuore di Daniele, in tanti quadri preziosi perché preziosa è la fatica fisica immane che essi gli richiedono , ma è preziosa la trama di sogni, di visioni, di echi, di gioie e di dolori che essi comprendono , rivelano e spesso nascondono.
    Sono lavori che hanno destato l’interesse dell’ADDA, uno dei pochi o pochissimi giovani capolavori nati nella Piana di Gioia Tauro in un tempo di grassa ingordigia e di sudicio menefreghismo, nato anch’esso dal cuore di qualche
genitore coraggioso, come Domenico Di Stilo, con l’intento di “difendere” (mai verbo fu tanto appropriato) i ragazzi diversamente abili, specialmente nella Piana, dalle inefficienze di un sistema sociale e scolastico ottuso e povero. Soprattutto di idee e di fantasia.
   E’ stata l’ADDA (Associazione Difesa Diversamente Abili) a organizzare la stupenda mostra dei lavori pittorici di Daniele Chiovaro conclusa sabato scorso, 26 luglio, a Galatro,
segnando una tappa importante per la carriera di questo artista che è originale non già per le modalità con cui dipinge, ma per la levità del tocco rubato agli impressionisti e sublimato in una dimensione coloristica e spaziale del tutto personale e inedita. A Daniele e all’ADDA, agli splendidi genitori dei fratelli Chiovaro, agli altrettanto grandi genitori che hanno creato questa associazione che arricchisce molto la Piana, il mio grazie e, spero, il grazie di tanti.

martedì 29 luglio 2014

LA PIANA RICORDA ROSSELLA CASINI

di Bruno Demasi

   E mentre la Piana sgomenta e pigra quasi rinuncia alle sue feste religiose estive, declassate al rango di improbabili sagre, e allarga le braccia rassegnata verso i suoi emigrati che in queste settimane raggiungono in gran numero i luoghi della memoria , mentre tanta chiesa locale celebra i suoi stanchi riti estivi in campi "scuola" sempre più elitari, costosissimi pellegrinaggi , sale convegni sempre più vuote e annoiate, ambiguità diffusa nella condanna ferma di quel male di cui Papa Francesco ha parlato a Cassano senza mezzi termini, c’è chi ha deciso di dedicare una serata davvero importante alla memoria e alla testimonianza della Piana e della Calabria che vuole guardare avanti, ritrovare una propria identità smarrita attraverso  percorsi di legalità seri e concreti, imbastiti e sviluppati su  esempi vissuti più che sulle parole. E’ il Coordinamento "Rossella Casini" di Palmi che, in sinergia con l’Auser, dà vita oggi, alle ore 18.30 nella Villa Comunale di Palmi a un evento semplice e importante sul tema "Memoria e Testimonianza di una Calabria che cambia".
     Un evento che – secondo le intenzioni degli organizzatori – vuole raccontare una Calabria che testimonia ad alta voce e senza mezzi termini la voglia di cambiare mediante esempi di grande coraggio , non certo la solita  Calabria piegata su se stessa  , incapace di reagire alla violenza organizzata o, al massimo,  capace di “condannarla” solo con mezze parole e con le tante enunciazioni di principio che ci sommergono quotidianamente.
      C’è una nuova frontiera che si sta aprendo a fatica in questi paesi stanchi e rassegnati? C’è realmente voglia di cambiare? Lo testimoniano nell’evento tante figure impegnate in prima linea, tra cui  Antonino Bartuccio (Ex Sindaco di Rizziconi) , Gaetano Saffioti (Testimone di Giustiza),  Giulia Pantano (Magistrato) a Francesca Chirico (Giornalista).Lo raccontano anche le letture di brani come “Ultimo Domicilio Sconosciuto” e” Niente altro che la verità”  e alcune azioni teatrali dedicate a Rossella Casini,  la ragazza toscana vittima innocente di mafia, uccisa e fatta sparire nella nostra terra  34 anni fa, di cui la Calabria distratta ha quasi rimosso la memoria...

venerdì 25 luglio 2014

LA STRUGGENTE CATECHESI DI DANIELA

di Bruno Demasi

      Se la Piana ci pensasse, pur tra tante volgari esibizioni, ingiustizie sovrumane e inutili promesse nelle quali si sta dibattendo come non mai, dedicherebbe un'attenzione speciale alla struggente catechesi di Daniela . Una catechesi fatta non di parole preconfezionate e rimasticate nè tantomeno di dibattiti o tavole rotonde o improbabili raduni e approfondimenti, ma intessuta di dolore e silenzi, coincidente con il dono stesso della vita,
     Una storia semplice e terribile quella di Daniela Corriano, la ventinovenne ragazza di Gioia, residente in provincia di Pisa che alcuni mesi fa, dopo essere rimasta incinta, si è vista diagnosticare un carcinoma al seno in fase avanzata ed incurabile.  Nonostante ciò, pur essendo già mamma, contro il parere di medici e familiari, ha fatto subito la sua scelta: far nascere comunque la propria creatura.
   Un calvario lungo e dolce vissuto insierme al marito e al bambino che già aveva, nutrito , malgrado tutto, di speranza, ma anche di rassegnazione e di atroci sofferenze fisiche provocate dalle metastasi già diffuse fino alle ossa.
  Il sette giugno scorso , alla ventiseisima settimana di gravidanza ha dato alla luce il suo bimbo, nato di soli 800 grammi, ma sopravvissuto e ormai fuori pericolo. 
   Cinque giorni fa Daniela è morta, lasciando nello sconforto il marito e tutti gli amici e i familiari, ma lasciando anche una nuova vita come testimonianza vivente del suo coraggio e del suo Amore maiuscolo.

    Grazie, Daniela, hai interpretato sul serio il vero cuore della Piana e della Fede che si fa carne. E non ha nessuna importanza se non hai seguito centinaia di catechesi ripetitive e stanche o se non sei stata una "cattolica adulta": sei stata senz'altro una grande credente oltre che una vera madre!

lunedì 14 luglio 2014

QUESTIONI DI PROCESSIONI


    Tra i tanti interventi che in questi giorni si stanno accavallando tumultuosamente sui giornali, sui social network e soprattutto sulle bocche di quasi tutte le persone della diocesi, tra le stanche e formali prese di posizione dei gruppi organizzati, laicali e non, pro o contro il provvedimento del Vescovo circa la sospensione delle processioni in Diocesi, tra i discorsi di piazza o quelli sussurrati nel chiuso delle sagrestie mi sembra molto equilibrato quello di Luigi Santambrogio, sorretto da solidità di argomentazioni, riferimenti  al magistero episcopale calabro e soprattutto a quel  "Metodo Pino Puglisi", che ha fatto e continua a fare scuola in un'epoca in cui tutta la lotta alla mafia sembra fatta più di slogan, di convegni , di parole  e di fiumi di denaro spesi per pubblicizzare le iniziative più bizzarre pro legalità che non di esempi e di fatti concreti (Bruno Demasi).

"BASTA PROCESSIONI?
 DON PUGLISI NON L’AVREBBE FATTO

di Luigi Santambrogio

     Capirci qualcosa nella storiaccia di Oppido Mamertina è impresa difficile, ma pretendere la verità sulla processione con la statua della Vergine delle Grazie, non è più cosa di questo mondo. A seconda di chi la racconta, la faccenda ha dieci, cento, mille versioni differenti. C’è stato o no l’inchino della
statua davanti alla casa del boss? E se sì, chi è lo Schettino oppidano che ha impartito ai portantini lo sciagurato diversivo? Domanda che vale un intero processo e che rischia di diventare il tormentone dell'estate: i carabinieri s’erano subito sfilati... e il parroco, a tutt’oggi, non è ancora pervenuto. Nel polverone, poi, si sono fiondati i soliti giornalisti arruffapopoli, scrittori del ramo, opinion maker e criminologi assortiti. Compreso il principe dei tuttologi: lo scortato Saviano che dal paese di Gomorra elargisce a gettone le sua perle di saggezza mafiologica. Imparata per sentito dire e senza neppure passare per Scampia.

    A far luce, forse, ci penserà la Dda di Reggio Calabria, che sull’inchino ha aperto ufficialmente un fascicolo: il reato ipotizzato è di associazione a delinquere di stampo mafioso. La magistratura, scrivono i giornali, avrebbe immagini ed informative dettagliate su quanto accaduto, prima, durante e dopo la processione e sono in corso anche le identificazioni di quanti, con ruoli sia pure diversi, erano al seguito della statua. Il Comune si costituirà parte civile e, in questo fervore di legalità mancano solo i Ris a prendere impronte e cercare tracce di Dna sulle banconote lasciate ai piedi della statua. Oppido Mamertino, insomma, come la nuova linea Maginot della guerra alle cosche e l’inchino mariano, semmai ci sia stato davvero, una sorta di Capaci ventidue anni dopo.

    Pure la Chiesa ha improvvisamente alzato la guardia contro le commistioni sacrileghe, le feste religiose con la regia niente affatto occulta dei clan, Cresime e Battesimi come viatici per affiliazioni criminose, processioni piegate a sfilate in onore dei boss. Monsignor Salvatore Nunnari, presidente della Conferenza episcopale calabrese, ha dichiarato che i preti presenti avrebbero dovuto lasciare la processione. «Mi dispiace che i preti non abbiamo avuto il coraggio di andare via, di scappare da quella processione». Per l’arcivescovo di Cosenza, «quando i carabinieri se ne sono andati, anche i sacerdoti dovevano abbandonare la processione. Avrebbero dato un segnale e di questi segnali la Chiesa ha bisogno». Nunnari invita i suoi preti a non avere paura: «Bisogna avere il coraggio di fermare le processioni, dal momento che può capitare che «sotto la vara ci sia il mafioso
di turno che poi fa il capo». Se fosse lui vescovo di quella città non avrebbe dubbi: «Per un po’ di anni non farei processioni e credo che sarebbe cosa gradita alla Madonna».

    Ecco, dopo l’abolizione di padrini e madrine proposti dal vescovo di Reggio Calabria, ora scatta il divieto di processioni: niente più Santi e Madonne portate a spalla per le vie del paese, cancellate le feste per i Patroni e stop anche a quella del Corpus Domini. Assembramenti sediziosi, da sciogliere per sospette infiltrazioni mafiose e commissariare in attesa di giudizio. Tutto giusto, per carità: con un’associazione come la mafia che uccide nemici e innocenti, organizza stragi e vive di malaffare e violenze, la Chiesa non può certo tacere o fingere di non vedere. A costo di rinunciare a qualche manifestazione di pubblica fede se utilizzate a scopi criminali. Scelte radicali e dolorose, ma a volte necessarie. Non esistono solo gli atei devoti, a volte pure i mafiosi lo sono: adorano in modo idolatrico le processioni, il culto di certe Sante, l'ostentazione di simboli e immagini sacre, esibite e custodite perfino nei loro covi. Le mafie, come afferma il procuratore Nicola Gratteri, «si nutrono di consenso popolare, per esistere, hanno bisogno della gente: sono presenti lì dove c’è da gestire denaro e potere, dove ci sono grandi folle, come nelle manifestazioni sportive ma soprattutto nelle e vicino alle processioni religiose».

    Tuttavia, quell’invito ai sacerdoti ad avere “il coraggio di scappare” suona un tantino strano, ma soprattutto orfano del suo scopo. Forse i giornali hanno travisato le parole del vescovo Nunnari, ma quel “coraggio della fuga”, al di là di ogni buona intenzione suona ambiguo, quasi un calembour, al limite della comicità. E tutto il dibattito (più mediatico che dottrinale) sulla scomunica ai mafiosi, pare riportare la questione indietro di secoli. Nel suo ormai celebre discorso, Papa Francesco non ha
mai detto quello che i media o qualche improvvisato esegeta gli ha fatto dire. Non che la scomunica sia scomparsa dai codici o che la Chiesa abbia scelto la strada del buonismo, ma il Papa ha detto qualcosa di più: ha ricordato che la sola denuncia non basta, che occorrono un abbraccio e un incontro con l’uomo, che c’è bisogno di annunciare il Vangelo come risposta al male. In altre parole, servono più evangelizzazione e lavoro educativo.


 
   «Resta prioritario invece che la Chiesa prosegua nella sua opera pastorale educativa e preventiva, in un comune sforzo di nuova evangelizzazione che comporta attività pastorale, annuncio biblico, dottrinale ed esercizio di opere di misericordia». A riaffermarlo è l’arcivescovo Vincenzo Bertolone, postulatore della causa di beatificazione (voluta da Benedetto XVI) di don Pino Puglisi, il sacerdote assassinato da Cosa Nostra a Palermo 21 anni fa. «Quello delle processioni infiltrate dalle cosche, delle confraternite piegate ai voleri dei boss, della religiosità popolare strumentalizzata dalle cosche», avverte il vescovo, «è fenomeno antico e ricorrente, ma non per questo inevitabile e men che meno accettabile. In ogni angolo del mondo. La tradizione popolare è un tesoro da custodire e da valorizzare come una manifestazione della fede; eventuali incrostazioni, se non rimosse, rischierebbero di minarne l'autenticità. È, per molti, versi, una questione di mentalità. Ma la mentalità si cambia non vietando o denunciando, ma soprattutto seguendo seri percorsi formativi come unico antidoto alla "non cultura" rappresentata dall'ignoranza, dalla tracotanza, dal disprezzo, ingredienti tipici della ricetta mafiosa».

    Questo è anche il nocciolo dell’insegnamento di don Puglisi, oggi più che mai utile per capire il da farsi. Il sacerdote non sopportava la retorica dell’antimafia, lo sdegno limitato «ai cortei, alle denunce, alle proteste. Tutte queste iniziative hanno valore ma se ci si ferma a questo livello sono soltanto parole». «Don Pino finisce nel mirino della mafia», ricorda il suo postulatore, «perché
prete, per il suo ministero sacerdotale, e quindi alfiere di legalità e giustizia, ma anche e soprattutto convinto testimone della Parola di Dio e della forza del Vangelo. Proprio per questo fu inviso ai mafiosi, portatori di un ateismo materiale diventato esso stesso religione con al centro il dio del potere, opposto al Dio dei credenti».
In passato la Chiesa assecondò o tacque sulle idolatriche dei mafiosi e molti i parroci che non videro contraddizione tra l’appartenenza religiosa dei fedeli e il loro essere a servizio dei clan. Strappare i Santi alla mafia, compreso Gesù Cristo che nella devozione distorta dei criminali è assimilabile a un qualsiasi bandito messo ai ceppi dagli sbirri, fermare il killer che prega e spara, convertire il mafioso che bacia il crocifisso e strangola, sbugiardare davanti al popolo il boss che dal carcere di massima sicurezza innalza altarini alla Madonna, legge e annota la Bibbia, non è cosa che si fa in un giorno. E neppure il miracolo può avvenire vietando o sconfessando, per decreto e senza discernimento, uomini e tradizioni. Una Chiesa complice e silenziosa faticherà a cambiare solo sulla spinta di un’altra che denuncia e scomunica. In mezzo c’è un immenso spazio a disposizione per un’opera più grande e più viva, per una comunità cristiana capace di giudicare e scegliere, ma soprattutto, come insiste Francesco, di abbracciare e ridare speranza agli uomini. Mafiosi compresi." (Da la Nuova Bussola Quotidiana, 9-VII-’14)