domenica 10 agosto 2014

POSSO RICORDARE ANCH'IO MONS. LUCIANO BUX ?

di Bruno Demasi
      Era giunto in Diocesi  nel maggio del 2000 dopo un’altalena di si e di no, per il suo ingresso canonico nella cattedrale oppidese, che si era protratta per circa tre mesi, durante i quali  a Oppido, per i noti motivi (ed evidentemente anche  per molti altri meno noti) era successo di tutto e alla fine, con  la mediazione di alcuni, si era trovata, come estremo ripiego, la decisione  di accogliere come si conveniva il nuovo vescovo che, da parte sua,  assicurava di mantenere la residenza ufficiale a Oppido, per poi domiciliarsi di volta in volta dove i suoi impegni pastorali lo avrebbero maggiormente chiamato.
    Trovò una diocesi stremata dalle divisioni, dai sospetti e soprattutto dai dissidi profondi che si erano creati anche all’interno del clero. Ne era più che consapevole e preoccupato, ricordo, quando , circa due mesi prima dell’ingresso,  incontrò un gruppo di cittadini oppidesi  nel seminario di Catanzaro, dove giunse da Bari a bordo della sua polverosa utilitaria bianca mostrandoci subito quell’habitus di rigore,   umiltà e  sobrietà, che insieme a una concezione asciutta e seria del fatto di Fede,  avremmo sperimentato per oltre un decennio e che sostanzialmente costituiva l’aspetto e il nervo di tutta la sua azione,  direi sacerdotale prima ancora che episcopale.
    Si usciva, anzi si cominciava faticosissimamente ad uscire, da una palude pastorale e gestionale  nella quale
si era precipitati almeno da quando il suo buono, ma contraddittorio e  ingenuo, predecessore era stato chiamato (la prima, la seconda o la terza volta?) ad altra sede per motivi o scelte, sue o di suoi superiori, che non sta a noi indagare o giudicare.
    Mons. Bux, dopo le concitate corrispondenze anche epistolari e telefoniche che precedettero il suo arrivo in Diocesi, decise di agire usando indubbiamente tutti gli strumenti che la sua esperienza e la sua fede gli mettevano a disposizione, ma uno fra tutti divenne il più usuale ( e  non sempre efficace) per stemperare rancori e animosità, per tentare di spazzare pigrizie e intrighi, soprattutto per ridare decoro alla Diocesi sul piano  vocazionale: il silenzio. Accompagnato sicuramente dalla preghiera. E nel silenzio ha investito quasi tutta la sua azione pastorale nella formazione dei nuovi sacerdoti, consapevole forse del fatto che per ripartire sul serio  occorreva  dotarsi di nuove leve e di nuovi quadri.
    Scelta  efficace? Io almeno cerco di augurarmelo e gli chiedo, da quel luogo di pace che sicuramente ha raggiunto due giorni fa , di intercedere direttamente presso Dio affinchè ciò avvenga.
    Di sicuro comunque  ha esercitato con grande entusiasmo il grande carisma di guida e lievito di carismi.
    Ricordo che la prima e ultima volta che lo incontrai direttamente ( non conto infatti le varie occasioni più o meno ufficiali  di incontri e manifestazioni  scolastiche di alto spessore formativo , anche alla legalità)  fu quando mi recai a Palmi nel suo ufficio per cercare di tamponare e di mettere ordine in una situazione di nomine di insegnanti di Religione che il suo ufficio scuola aveva complicato e che comunque aveva più o meno scontentato tutti. Mi accolse in modo sereno e cordiale. Affrontammo in qualche modo il problema per il quale mi ero recato da lui  e ne approfittai per domandargli prima di salutarci,   come mai , a distanza di quasi sette anni dal suo ingresso in Diocesi, non avesse mai rivolto al popolo della Piana,  una lettera pastorale, un rigo, qualcosa insomma che   facesse sentire vicino il Pastore al proprio popolo. Mi rispose che preferiva parlare nelle omelie alla gente piuttosto che   inondarla di scritti e di disposizioni, perché di carte ce n’erano fin troppe, tanto che – aggiunse ridendo – “ Et  verbum carta factum est…!”.
    E le sue omelie – tutte rigorosamente a braccio – erano stupende, dei  piccoli capolavori di concisione, rigore teologico, dolcezza e sintesi: entravi  nelle sue
celebrazioni magari col cuore in tumulto e ne uscivi in pace con te stesso…
   Avrei voluto anche  chiedergli  perché avesse tollerato che venisse quasi  smembrato il seminario di Oppido aprendone una succursale altrove, perché… perché…perché…, ma non ne ebbi il coraggio vedendogli spuntare le lacrime alla vista della piccola icona che gli avevo portato in dono e che rappresentava la  “sua” vergine Oidigitria di Bari.
    Volle ricambiare con un suo minuscolo libricino, credo l’unico suo libro o uno dei pochissimi,   stampato – mi disse – da poco. Piccolissimo. Solo a casa, più tardi, mi accorsi quanto invece è grande quell’opera che canta e spiega, esalta ed illustra, illumina ed incensa il mistero della Divina Eucarestia.
    Con la raffinatezza del teologo consumato e lo stupore di un fanciullo…!