sabato 27 settembre 2014

ALUNNI DIVERSABILI DELLA PIANA : ANNO ZEROVIRGOLADUE


    Volevo far calare il silenzio sulle mie riflessioni annotate qualche giorno fa in questo diario sulla situazione ignominiosa in cui versano gli alunni diversabili nella grande maggioranza delle scuole della Piana di Gioia Tauro, ma un articolo uscito su "La Repubblica" (giornale ormai detestabile per molti versi, ma non privo di qualche sussulto di verità, come quello a cui mi sto riferendo) mi ha riportato ancora una volta a pensare con rabbia e con tristezza a questo grave problema.
    Ho già detto dei colpevoli ritardi dell'ufficio scolastico provinciale nell'assegnazione dei docenti di sostegno, dell'elefantiasi con cui la Provincia di Reggio Calabria assegna i fondi alla
scuole o li utilizza per la fornitura degli assistenti educativi, delle colpe delle scuole e dei consigli di classe nella progettazione di interventi educativi che includano i diversabili e non solo "per" i diversabili ( il più delle volte scaricati alla progettazione educativa formalizzata sulla carta solo dal docente di sostegno).
    Non ho scritto però  dello schematismo operativo frettoloso delle commissioni ASL demandarte alla valutazione iniziale ed in itinere del diversabile e, soprattutto, di due situazioni di fondo  che consideravo marginali fino a qualche giorno fa, ma che invece si stanno rivelando fondamentali nella loro crudezza.
    La prima riguarda il sostanziale e globale atteggiamento di sfiducia dei genitori di questi ragazzi nei confronti della scuola: un amico molto coinvolto mi ha detto testualmente "Non credo nella Scuola: se non avessi speso privatamente tanto denaro, mio figlio oggi sarebbe in una situazione di sviluppo molto precaria". Un atteggiamento eloquente verso una scuola considerata più come una tappa obbligata per la socializzazione e la crescita sociale del diversabile che non un mondo di occasioni didattiche ed educative credibili.
     La seconda invece riguarda una malintesa convinzione da parte delle associazioni e dei singoli

genitori degli allievi diversabili, quella di pensare che la quantità e la qualità dell'integrazione didattica, educativa e sociale sia direttamente proporzionale alla quantità di denaro erogato da parte dei soggetti territoriali o statali responsabili ed impiegato (spesso casualmente) da comuni e scuole. Non è assolutamente vero! Qualità e quantità di interventi mirati e utili ed efficaci non dipendono, se non in parte, dai finanziamenti ricevuti ( molti dei quali comunque vengono letteralmente sprecati ) Dipendono dalla capacità di organizzazione, dalla mediazione culturale e sociale demandata anche alla scuola, soprattutto dalla sensibilità di quel mondo di docenti, allievi e genitori che gravitano intorno al diversabile il più delle volte per accentuarne i problemi anzichè per tentare di risolverli o almeno smussarli.
    La pagina che segue è molto eloquente in questo senso. (Bruno Demasi)


La scuola, dentro e fuori. L’attesa di chi é già oltre
    Ero a fare supplenza in una classe prima non mia, perché, in questi giorni, anzi settimane e mesi, prima del vero inizio della scuola, si “coprono i buchi”. I colleghi non sono stati ancora nominati per coprire tutte le cattedre, per cui nelle classi si fa a turno, fra i docenti, “per tenerli” gli alunni. Nella classe, con trentadue studenti, ho subito notato un’alunna in carrozzina e respiratore artificiale. Parla scrivendo su un tablet e mi scrive “Aspetto il mio insegnante di sostegno. Ma gli altri professori li ho tutti” e alla fine mi clicca anche un cuoricino.
   In compenso, gli amici di classe e di paese di Rosella (nome di fantasia, ndr) non la fanno sentire sola. “Siamo suoi amici dalla scuola elementare”. Eppure, Rosella non smette mai di guardare fuori dalla classe,
attraverso la grande finestra che dà sul cortile. Sembra solamente preoccupata di ciò che sta al di là: sguardo fisso e pensieroso. Ho dovuto alzarmi, per capire e vedere. Seduto, su una panchina, all’ombra di un albero, un uomo. Mi ha scritto: “E’ papà. E’ un pazzo! Mi aspetta dalle otto fino a quando esco”. Tutto è cominciato con il papà di Rosella, curiosamente interessato al suo stato alla Nanni Moretti in Caos calmo. Mi ha raccontato: “Siamo tantissimi” quasi per discolparsi di qualcosa. Si tratta di genitori che hanno i loro figli “con handicap gravissimi e che, come me, per paura, fobia e un po’ perché non ci fidiamo tanto neanche di voi docenti, preferiamo aspettare e stare sempre pronti”.
    E il papà di Rosella me ne ha fatti conoscere altri di uomini e donne come lui. “Abbiamo anche un gruppo di auto aiuto in cui ognuno sperimenta il confronto con gli altri genitori che vivono il disagio di aver rinunciato anche al lavoro, pur di stare ventiquattrore su ventiquattro insieme a creature che da un momento all’altro potrebbero non esserci più”. Infatti, si tratta di bambini e adolescenti come Raffaele, uscito dal coma dopo tanto tempo “e finalmente tornato a scuola, riconosce solo tre dei suoi amici di scuola di sempre”, mi racconta suo padre. Pierangelo, che ha perso la vista “e mi racconta ancora dell’aula colorata che lui stesso aveva dipinto con i sui compagni e noi genitori, che ci siamo auto tassati, per ripristinare l’aula dei nostri figli”. Si tratta della scuola che, a prescindere dalla vista o meno, funziona, perché “continua ad avere gli stessi colori di sempre, per Pierangelo – racconta la madre – Lui vorrebbe stare a scuola per tutte le ore della giornata, perché mi dice che qui ascolta le cose che lo faranno diventare qualcuno”. Pierangelo vorrebbe
insegnare Filosofia, come suo padre, docente di Storia e Filosofia in un liceo. E queste madri e padri sono il braccio forte di noi insegnanti, quella parte buona e che resta di una pedagogia utile al cambiamento delle persone. “Io – sostiene la giovane madre di Francesco – mi sento parte di voi. Il lavoro dei docenti, nella scuola, e qualche volta anche al di fuori, è troppo importante. Forse, più importante del nostro di genitori. Francesco pende dalle labbra della sua insegnante di Lettere e difficilmente mette in dubbio quello che lei gli dice, a differenza di quello che gli dico io”. E mi faccio raccontare, dal diretto interessato, Francesco, cosa è per lui la scuola: “E’ dove mi hanno insegnato che anche quelli come me (Francesco è nato con una malformazione del volto) hanno spazio e diritto ad esserci, non di più o di meno, perché io sono un mostro. Anzi, dalla letteratura ho imparato a capire quanto i mostri piacciano anche ai miei amici di classe”.
    Francesco, con un’ironia e una forza travolgenti, mi racconta dell’interesse dei suoi compagni di studi per “Kafka e i suoi insetti, e per tutti quelli che hanno scritto pagine e pagine di belle e bestie, brutti e cattivi, benigni e maligni e che rendono ancora il sogno possibile della letteratura. Se la scuola ci insegnasse di più ad accettarci, anche rispetto ai nostri limiti e difetti, sarebbe una scuola che promuove, non con gli attestati”. Conosco anche Domenico, terza elementare, e sua madre, “un’altra di quelle che restano dietro la porta”. Suo figlio “non respira bene e spesso ha delle crisi difficili da gestire. Per questo io sono
qua”. Valentina da tre anni “trascorro l’intera mattinata a scuola. In compenso ho letto decine e decine di libri, nell’attesa di aspettare Domenico, che a metà mattinata mi riporto a casa, perché, a seguito di un’operazione gli ha causato un disturbo abbastanza grave dell’attenzione”. Ma la scuola ha provveduto diversamente per lui. Me lo racconta lo stesso studente di nove anni: “Ogni pomeriggio, a turno, vengono i miei amici di classe, che mi vengono a spiegare le cose che io non ho fatto in tempo a sentire in classe”.
    Anche in questa occasione si tratta di un’esperienza scolastica di grande importanza: bambini di nove anni che fanno da insegnanti ad un loro coetaneo, mettendo in atto non solo la loro capacità di attenzione in classe, ma quell’antica e grande arte che si chiama amore. Quella che nella scuola, di dentro e di fuori, non può mancare. (Pubblicato su “la Repubblica” del 27 settembre 2014)

lunedì 22 settembre 2014

"ANIME NERE" SULL'ASPROMONTE

di Bruno Demasi

    E’ uscito tre giorni fa nelle sale cinematogrtafiche e il primo forse a meravigliarsene, già da quando hanno deciso di girare questo film intorno e sull’Aspromonte, è stato l’autore del romanzo omonimo edito da Rubettino , Gioacchino Criaco.
    Vengo meno ancora una volta all’autoimposizione di non fare pubblicità a nessuno perché ne vale la pena. Sia il romanzo che il film non hanno nulla di artefatto e senti a pelle che l’autore, gli autori, non hanno spinto più di tanto commercialmente queste due opere per imporle al vasto pubblico, che già le ama e, men che mai, per far entrare il film in concorso a Venezia.
    E’ viaggio tra le macerie della civiltà perduta dell’Aspromonte, visione cupa,  per molti anche claustrofobica, di una grande famiglia impastata con la malavita calabrese, quella ndrangheta ormai non più confinata in Calabria, ma in affari con il resto d’Italia, d'Europa , del mondo.
      La forza del film e del romanzo però consiste non nella divagazione fumettistica di intrecci esotici e cervellotici o inverosimili, ma nel restringere la descrizione, il palcoscenico degli eventi proprio alla nostra terra., quell’Aspromonte che bene o male ci rappresenta tutti e tutti ci impregna della sua storia antica e del suo spaventoso nulla attuale.
   E’ ancora la Calabria delle guerre tra famiglie mafiose testardamente legate a a stili di vita arcaici e tradizionalisti, pur con l’i Phone di ultima generazione in mano.
    Un film da vedere , ma prima ancora un libro da leggere d’un fiato, per questa loro comune indagine“visiva” sui parossistici legami famigliari dettati dal sangue, dal rispetto e dall'onore.
     E , se non ci si fa trascinare troppo dalle atmosfere che suscita, molto intense a livello iconico ed emotivo, forse potremo anche riflettere un po’ più di quanto non ci capiti sovente sul significato di tante espressioni malate del nostro vivere quotidiano intorno e dentro quella dimensione ancestrale, bellissima e spesso schifosa, che si chiama “Aspromonte”.

giovedì 18 settembre 2014

I PIU’ POVERI TRA I POVERI SULLE SOGLIE SBILENCHE DELLE SCUOLE DELLA PIANA


di Bruno Demasi
L’UNIVERSO INFORME DEGLI INADEMPIENTI ALL”OBBLIGO SCOLASTICO”, DEI DIVERSABILI ABBANDONATI A SE STESSI, DEI PORTATORI ANONIMI DI “B.E.S”, DEI FIGLI DEGLI IMMIGRATI FANTASMA
 NELLA PIANA DI GIOIA TAURO
 

     C’è un mondo a sé che serve spesso solo a fare numero sui registri scolastici (cartacei o virtuali che siano) quando si tratta di compilare gli organici di diritto delle scuole e allora si corre alla ricerca affannosa dell’immigrato, per riempire i posti inesorabilmente vuoti negli elenchi delle classi, o del diversabile “certificato” che serve ad abbassare a 20 il tetto max degli allievi per classe, a salvare qualche cattedra dalla falcidie provocata in modo suicida dalle stesse scuole che sembrano fare di tutto per cancellare “tempo pieno” e “tempo prolungato” e per far ritornare sulla strada masse sempre più grandi di minori a rischio.

    Un mondo che poi nella stragrande maggioranza dei casi, e per tutto l’anno scolastico, viene avvolto da una coltre di silenzio e di distrazione, di oblìo e di buonismo, entrambi senza limiti , che servono a nascondere una sostanziale incapacità nella gran parte delle scuole di gestire quest’ universo impalpabile di poveri tra i poveri adoperando spugne gettate nell’angolo e dimenticate, da riprendere poi a giugno quando si tratta di coprire malamente ( e il più delle volte con ammissioni gratuite e dannose alle classi successive) le dimenticanze e le inadempienze di un intero anno scolastico.

   Quando la Provincia di Reggio Calabria, tre anni fa, con la complicità, o almeno con la tacita acquiescenza, dei comuni interessati (sarebbe più esatto dire disinteressati) ha varato il cd piano di razionalizzazione delle scuole quasi senza interpellare la popolazione ignara, le stesse scuole e le poche agenzie di partecipazione sociale esistenti sul territorio della Piana, probabilmente ha ubbidito a logiche

politiche o partitiche del tutto avulse dagli interessi reali della cittadinanza.

Lo confermano senza ombra di dubbio i risultati aberranti che stiamo già registrando.

    Pensiamo alla perdita di autonomia dell’ Istituto Comprensivo di Cinquefrondi, dell’Istituto superiore di Taurianova e , soprattutto, dell’Istituto Superiore di Oppido, unico a garantire scolarizzazione di II grado in un’amplissima fascia pedemontana priva di scuole superiori e quindi di quella preziosa presenza delle Istituzioni che le scuole possono garantire. Tre istituti che da soli coprono oltre il 40% del sottodimensionamento delle scuole oggi colpevolmente esistente in Provincia. Ed è un fatto gravissimo! Aberrante! Un fenomeno che dalle nostre parti, a fronte di un calo demografico diffuso ovunque, ha visto però lo smantellamento delle scuole solo nell’entroterra…!

    Pensiamo anche alle inadempienze di chi responsabilmente dovrebbe garantire ausili, forme di gestione delle risorse finanziarie e umane e operazioni trasparenti, ma anche controlli e attenzione alle scuole, lasciate spesso a se stesse, senza completare gli organici dei docenti, e soprattutto dei docenti di sostegno, fin dall’inizio delle lezioni!

    Pensiamo a quanti casi (se si scoperchiano le pentole se ne trovano in numero impressionante) di alunni della fascia dell’Obbligo (fino ai 16 anni!!!) che disertano le lezioni ogni anno ben oltre i canonici 50 gg di assenza consentiti e che poi vengono valutati negli scrutini finali e “promossi” grazie ad escamotages di ogni sorta o a improbabili e improponibili certificazioni mediche, per accontentare genitori distratti e a loro volta colpevoli. In tutti i sensi!!!

    Pensiamo al numero impressionante di abbandani scolastici nella fascia stessa dell”obbligo” tollerati o,

peggio, coperti dai genitori, ai quali non segue quasi mai la giusta sanzione prevista dalla Legge: un limbo sommerso che è funzionale soltanto a gonfiare gli organici, reiscrivendo a scuola ogni anno gli stessi nomi e cognomi (solo dei nomi e dei cognomi appunto) e solo per “fare numero”.

    Pensiamo agli allievi diversabili gravi, e sono tanti, per i quali il più delle volte le famiglie, abbandonate a se stesse , devono lottare per ottenere non solo quel sostegno che l’ Ufficio scolastico competente lesina e manda con colpevole ritardo tra i banchi, ma anche quei piccoli quotidiani interventi di assistenza educativa che gli enti locali sembrano concedere, solo se pressati e incalzati, come una grazia a fronte dell’enorme quantità di denaro che a livello regionale viene sprecata in mille altri rivoli…in mille altri progetti P.O.R. e P.O.N . il più delle volte inutili…

    Pensiamo alla galassia magmatica dei “B.E.S.” (Bisogni Educativi Speciali) diffusissimi nelle classi della Piana, già a partire dalle scuole dell’Infanzia, che quasi mai assurgono alla dignità di essere “ufficializzati”, pur nella privacy necessaria, nelle programmazioni curricolari dei singoli consigli di intersezione, di interclasse o di classe per la loro cura ottimale e restano terreno di nessuno e di tutti, non escluso quello dello scontro tra docenti che ne valutano la portata da angolazioni diverse: falchi e colombe insomma. Come sempre!

    Pensiamo infine, ma solo per ordine di considerazione, ai ghetti nei ghetti costituiti da quella piccola o grande folla senza numero e senza nome di figli di immigrati, il più delle volte senza permesso di soggiorno, il più delle volte afflitti a loro volta non solo dallo svantaggio enorme costituito dalla loro condizione sociale, ma anche da diversabilità, ADHD, B.E.S., bisogni vari di cui pochissimi , ma spesso nessuno, si cura.

    E ci domandiamo in tanti, a questo proposito, come e quanto nelle scuole dell’obbligo vengano
applicate le “linee guida” MIUR del febbraio 2014 (che sintetizzano normative già esistenti da anni), che impongono alle scuole di accettare allievi immigrati indipendentemente dal possesso o meno del permesso di soggiorno, che ne dispongono l’inclusione nella classe corrispondente all’età anagrafica ( o al massimo in quella precedente, senza ghettizzarli e scoraggiarli ulteriormente inserendoli in classi di alunni molto più piccoli di età), che autorizzano verso gli stessi , se in condizione di bisogno ( e accade spessissimo) il sostegno e l’assistenza educativa, anche in assenza della canonica certificazione INPS-104, che insomma danno alle scuole , ai comuni , alle province, agli uffici scolastici provinciali e regionali tutte le possibilità per garantire anche a questi ragazzi un minimo vitale di successo educativo.

    Quel “successo educativo” che da queste parti ormai appartiene sempre di più a numeri infimi di alunni. E tutti, o quasi tutti, “bravi” e/o di “buona famiglia”. 

Prosit alla nuova barbarie!