sabato 13 dicembre 2014

CRISTO E GIUDA TRA LE BARACCHE DI SAN FERDINANDO

di Domenico Rosaci

    La fiaccolata-sciopero di ieri degli immigrati della Piana ci scuote e ci interpella perché a San Ferdinando, nella piana di Gioia Tauro, si può osservare sul serio la Realtà, quella vera. Televisione e giornali ci parlano di uomini che vengono da lontano per invaderci, clandestini che sottraggono il lavoro ai nostri concittadini, fruendo di "straordinarie agevolazioni" e qualche politico alla moda ci "informa" che i migranti ricevono dallo stato 30 o 40 euro al giorno e che essi sono ospitati in hotel a tre stelle.
    Ma a San Ferdinando c'è solo una tendopoli costruita in campo aperto, dove nel degrado e nella povertà sopravvivono centinaia di uomini.
  Sopravvivono, perché di vita dignitosa non si può certamente parlare. Si tratta piuttosto di fame e di gelo. E di buio, quello che li accompagna quando ancora a notte fonda si avviano per raccogliere le arance nei campi. Quello che ritrovano al ritorno, in quello che beffardamente insistiamo a chiamare "campo di accoglienza". Il buio di una giornata lavorativa di dieci ore, pagati 80 centesimi per ogni cassetta di arance, accompagnati dalla disperazione e dalla fatica. E dalla paura per quei calabresi che li insultano, che gli sputano addosso.
    Sono venuti da molto lontano, da paesi che si chiamano Burkina Faso, Mali, Ghana, Senegal, Costa d'Avorio. Ma pochi di coloro che guardano la televisione, o ascoltano le "informazioni" dei nostri politici, conoscono cosa si celi dietro questi nomi. Non sanno ad esempio che il Burkina Faso è uno dei paesi più poveri al mondo, con un reddito medio pro-capite di circa un euro al giorno. Un Paese privo di risorse produttive, ulteriormente svantaggiato da un clima imprevedibile, tropicale e semiarido, frustrato da lunghi periodi di siccità. Un Paese in cui tre persone su quattro sono analfabete. Una terra oppressa dalla violenza dei continui colpi di stato. Ultimo quello di Blaise Compaoré, diventato presidente dopo l’assassinio di Thomas Sankara, il leader marxista che denunciò pubblicamente le vergognose manovre delle banche e dei governi occidentali per soggiogare con il debito i paesi africani.
    Compaoré fu amico di tutti i dittatori africani, da Gheddafi a Charles Taylor, ma soprattutto mantenne sempre ottimi rapporti con Parigi, promuovendo gli interessi francesi in Africa. E fu anche uno dei dittatori più amici degli USA, offrendo le proprie basi aeree ai droni spia americani che sorvolano il Mali e il Niger. E noto che Washington addestra anche l’esercito del Burkina Faso nella base militare di Kaya, da cui partono tante micidiali "missioni di pace". Compaoré fu deposto da una rivolta popolare, simile a quelle avvenute durante la Primavera Araba, ma adesso la guida dello Stato se la contendono i militari, e Parigi e Washington si sono dette contente di questo cambiamento, soddisfatte che a controllare il Paese sia l'esercito, addestrato ed armato dall’Occidente.
    Tutto fuorché un governo islamico, anche se il prezzo da pagare è stato la repressione dei moti popolari, come è avvenuto tanto in Egitto quanto in Burkina Faso. Come denunciato recentemente da Peuples Observateurs, il WikiLeaks africano, l’infiltrazione delle diverse mafie nei Paesi africani è evidente e nota, e tra le altre spicca la Mafia Italiana, che ha investito in molte attività illecite, quali la speculazione in diamanti in Tanzania, il traffico di armi in Burkina Faso e il traffico di materie prime in Togo.
     E' da queste realtà che sono scappati i migranti di San Ferdinando. Migranti che in oltre il 70% dei casi possiedono un regolare permesso di soggiorno, e quasi la metà è titolare di un permesso per protezione internazionale o per motivi umanitari. Uomini che lavorano in nero per 9-10 ore al giorno, per poi morire di freddo e di fame in una tendopoli improvvisata, mentre uno Stato indegno di questo nome e fondato sulla corruzione e sull'immoralità, sta a guardare indifferente, in ben altre faccende affaccendato.  
    Questa è la Realtà vera, non quella della televisione. Questi uomini sono fuggiti da terre infernali, dove l'inferno hanno contribuito a crearlo principalmente i Paesi Occidentali.
     Noi non siamo le vittime, piuttosto rappresentiamo i carnefici. E lo diventiamo doppiamente, quando rifiutiamo a questa gente sfortunata la nostra ospitalità e la nostra compassione. Che non sono soltanto cortesie da offrire, ma piuttosto obblighi irrinunciabili per chi pomposamente si auto-proclama "uomo civile".
   Ma noi non siamo uomini civili. Sbandieriamo le radici cristiane dell'Europa, ma non siamo cristiani. Il principio fondamentale del Cristianesimo è la fratellanza. La compassione e la solidarietà verso chi è sfortunato, verso chi tende la mano.
    Chi attacca i migranti, chi li ingiuria e li disprezza, non è né civile né cristiano.
    C'è un prete, a Bosco di Rosarno, che si prodiga per aiutare i migranti. Don Roberto Meduri, parroco della chiesa di Sant’Antonio a due passi soltanto dall’inferno della tendopoli. Don Roberto si reca continuamente a portare il messaggio di Cristo in mezzo a quel deserto di indifferenza e disumanità. Va a dir messa, a portare conforto, a donare un sorriso. Organizza il Coro e la Squadra di Calcio. Sfidando gli insulti e il razzismo, si impegna per dare a questi uomini sfortunati un'opportunità di futuro.
     Per merito suo, lontano dalle luci e dai riflettori che l'Occidente preferisce puntare sulle star miliardarie che tutti conoscono, anche qui a Rosarno si può correre per qualche ora felici dietro ad un pallone e ad una speranza.
    Grazie a grandi uomini come Don Roberto Meduri, che ancora oggi testimoniano grandi ideali di civiltà, quali la fratellanza cristiana, anche noi, piccoli osservatori della realtà, possiamo nutrire speranza verso un futuro migliore: il tempo in cui forse un migrante sarà considerato come un fratello che ha il volto di Cristo, ed ogni razzista sarà chiamato col nome di chi Cristo lo tradì.