mercoledì 14 ottobre 2020

QUELLE MANI BENEDETTE DELLE RACCOGLITRICI DI OLIVE...

di Bruno Demasi
    Di mia madre, Francesca Timpano, che oggi avrebbe compiuto 100 anni, ho sempre davanti agli occhi, tra l'altro,  le mani callose e stanche e vive, rimaste estremamente agili e vitali anche negli ultimi anni della sua lunga esistenza, quando ormai non riusciva più a muovere le altre membra logore del suo corpo antico.
    Erano le mani benedette di una raccoglitrice di olive, esercitate con destrezza e sveltezza incredibili fin dall’infanzia e per molti decenni di durissimo lavoro. Mani che non riuscirono mai  a star ferme e oziose, neanche quando, più di recente, nelle campagne l’uso delle reti soppiantò la raccolta manuale del prezioso frutto, quando, rapidissime come sempre, frugavano tra l’erba ai margini delle reti, perché nessuna drupa si perdesse o si lasciasse marcire. E non per avidità, ma quasi per un senso religioso del risparmio e per un omaggio antico a questo frutto dell’albero che i Greci antichi avevano voluto da sempre simbolo della sapienza e della sacralità della vita.
    Non so come mia madre riuscisse a coniugare i suoi mille impegni di sposa, madre, commerciante, sarta con il lavorio di raccolta delle olive che non abbandonò mai nei nostri oliveti e, pur non avendo vissuto direttamente l’esperienza delle braccianti sui terreni altrui, ella ne aveva sempre condiviso il sacrificio immane e la fatica,gli stenti,le paure e le speranze.     Venivano queste donne nelle campagne del comprensorio di Oppido, fino agli anni Settanta del secolo scorso, dai paesi della Ionica, dove la raccolta olearia finiva a metà novembre, o dai paesi più montani della stessa Piana , dove prospera poco l’ulivo, e restavano accampate per tutta la durata dell’annata sulle nostre balze d’Aspromonte
fino a giugno inoltrato. 
  Loro compagni di ventura erano il freddo pungente che penetrava nei miseri alloggi di campagna, il fumo, la fame, la preghiera trepidante per chi avevano lasciato a casa e le canzoni antiche nelle quali raccontavano la fatica e la sofferenza della nostra civiltà costruita sul sudore e sull’ingegno dei poveri. Portavano con sé i figli più piccoli e tornavano alle loro case, cariche di olio e di olive e del poco denaro guadagnato, custodito nel fazzolettoni più volte annodati intorno al seno, solo per trascorrervi le feste di Natale e Pasqua.
    Di tutte queste donne senza storia e senza nome, di queste mille e mille mani annerite dalle morchie indelebili delle olive mature , di tutte queste altère persone che hanno saputo coniugare la fatica accettata sempre come un dono di Dio con gli impegni del focolare e che hanno creato drupa dopo drupa la ricchezza di questa terra poi divorata da politici imbelli e da oziosi parassiti dalle “berrette storte”, mia madre ha condiviso sempre la sorte con affetto e trepidazione .
Ne ha condiviso la fatica e la dignità, il coraggio e la forza. Ne ha alleviato per la sua parte anche la sofferenza di annaspare carponi sul terreno marcio di pioggia fino a poche ore prima del parto; ne ha consolato i lattanti illividiti dal freddo e dalla fame adagiati nelle povere nache tessute di midollo e di corteccia di castagno ai margini delle ante di dieci o venti donne in riga che avanzavano insieme solenni e faccia terra nella raccolta e che  con una manciata furtiva di drupe ciascuna riempivano anche il paniere della loro sorella che si allontanava senza essere vista per allattare il suo piccolo che piangeva disperato.
    Possa il Dio della Pace e della Sapienza trovare in Te, madre, in voi tutte, raccoglitrici di olive di un tempo irrimediabilmente perduto, le solerti custodi dei valori della Famiglia, del Lavoro e dell’Onestà che abbiamo smarrito. A voi il riposo guadagnato in tantissimi anni di immane fatica e l’omaggio commosso di chi ancora ricorda e ricorderà sempre…
    Grazie!!!