giovedì 22 gennaio 2015

CHI RIESCE ANCORA A PIANGERE COCO’ E ANGELO?

di Bruno Demasi

   Proprio un anno fa veniva ucciso e bruciato insieme al nonno il piccolo Cocò Campolongo di Cassano Ionio e proprio in queste ore si è saputo della morte del bambino di Corigliano, che chiameremo Angelo, nato vivo in un parto prematuro provocato da un finto incidente d’auto e lasciato poi morire per chiedere tanti soldi all’assicurazione.

     Emblemi entrambi , dolcissimi e terribili, di quella cultura di morte cui ci siamo assuefatti molto presto, di quelle lacrime (tante) che ci si vergogna forse di versare, di quella Calabria dannata da una storia di oblio, di paura e di menefreghismo, incapace persino di celebrare nelle scuole ( in TUTTE le scuole della Calabria, occupate in molte a organizzare percorsi e convegni inutili sulla legalità) l’anniversario della morte di Cocò, ricordato a stento solo   da qualche quotidiano di buona volontà.

    Emblemi teneri e sorridenti di quella barbarie senza fondo e senza fine che stiamo consegnando ai nostri figli e a i nostri nipoti, di una insensibilità profonda e totalizzante nella quale la vita in genere, e quella dei piccoli in particolare, è appena un tassello di cronaca che dura qualche ora e non di più.

    Emblemi di quei mille e mille bambini che vivono dimenticati negli ospedali o ai margini dell’alfabeto in tante classi in cui servono solo da numeri. Emblemi dei piccoli  che restano fuori dalle mense scolastiche o sui portoni delle chiese con la mano tesa o ai bordi delle strade o dei campi gelidi degli immigrati e che nessuno vede e nessuno sente, tanto la loro voce è flebile.
 
    Bambini della Piana e della Calabria, ma non nostri...