mercoledì 4 marzo 2015

IL PADRETERNO AL PONTE VECCHIO (Racconto)


di Ciccio Epifanio
    Un bel racconto  del poeta-cantore-narratore Ciccio Epifanio di esordio  su questo blog che non ha mancato già alcuni mesi or sono di celebrarne la grande ricchezza poetica e musicale in un post a lui interamente dedicato ( che è possibile rivedere e gustare ancora a  questo link: HAGIA AGATHE': IL VERO MASTRU /CANTATURI DELL’ASPROMONTE E DELLA CALABRIA, FRANCESCO EPIFANIO  )  Se Guido Piovene affermava che “La Calabria sembra essere stata creata da un Dio capriccioso che, dopo aver creato diversi mondi, si è divertito a mescolarli insieme”, Ciccio Epifanio completa questa osservazione cantando con accenti struggenti nel video che illustra questa pagina il miscuglio di meraviglie calabre e cogliendo argutamente nel racconto l’essenza  orgogliosa e testarda di ogni  buon Calabrese (Bruno Demasi). 

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   In un paradisiaco angolo dell’universo con vista privilegiata sull’incomparabile scenario della galassia di Andromeda e della via Lattea, in una splendida alba dello spazio cosmico temporale, Sua Divinità il Padreterno, Creatore e Signore di tutte le cose visibili ed invisibili, contemplava, compiacendosi della Sua creazione, il danzare elegante dei soli e dei pianeti, delle lune e delle stelle che, come una vorticosa immensa giostra celeste, gli giravano intorno con ordinata cosmica armonia.
   “Bella opera non c’è che dire - sospirava tra sè - questa parte dell’universo mi è venuta proprio bene”. Poi, spostando lo sguardo verso la parte più esterna della Via Lattea, la Sua attenzione fu attratta da un piccolo pianeta che brillava di un’intensa luce azzurra: quel bagliore lo incuriosì a tal punto che volle accertarsi meglio e così constato’ che questo pianeta, insieme ad altri otto, girava attorno ad una grande immensa stella. “Ma certo! - esclamò - come ho fatto a scordarmelo! Quella è la terra! E’ lì che ho fatto i miei primi esperimenti per la creazione dell’uomo, è quello il pianeta dove non molto tempo cosmico fa ho mandato mio figlio (che poi, per una ragione che sarebbe complicato spiegare era sempre Lui ) a immolarsi per redimere e riscattare l’umanità. Laggiù, in quel piccolo punto celeste ho creato l’uomo a mia immagine e somiglianza. Quasi quasi – disse – vado a dare una sbirciatina laggiù. Sono curioso di sapere, dopo tutto questo tempo e dopo tutto quello che ho fatto per loro, quale considerazione hanno di me le mie creature. Motivi per amarmi e onorarmi ne hanno a iosa!
    Fu così che, detto e fatto, si ritrovò a ridiscendere sulla terra proprio mentre gli sovveniva di un punto esatto di quel meraviglioso pianeta, una macchia di Mediterraneo, che I Suoi figlioli greci, rapiti dalla sua bellezza e dalla sua ricchezza, avevano via via denominato Aschenazia, Ausonia, Enotria, Vitulia e infine Calabria.
    Si ricordo’ anche che durante la creazione si era divertito a plasmare la materia di quell’ angolo di universo così come fa lo scultore per trarre dal marmo il suo ideale di bellezza. Aveva ancora in mente la cura, l’estro e l’ amore profusi nel rifinire le montagne a strapiombo sul mare, le coste frastagliate e selvagge e il profilo armonioso, rigoglioso e delicato. Aveva compresso tra il pollice e l’indice la materia per modellare gli opposti golfi di Santa Eufemia e Squillace, poi aveva posto, distanziandoli tra loro, tre grandi altopiani a cui aveva dato il nome di Pollino, Sila e Aspromonte arricchendoli di maestose pinete, di contorti castagneti ,di boschi lussureggianti di uliveti, nonché di ricchi vigneti le cui dolci uve davano un vino forte e generoso, che la leggenda voleva fosse servito a Ulisse per ubriacare il ciclope Polifemo, ed una vegetazione che nel contemplarla , a prodotto finito, aveva sorpreso anche il Creatore stesso per le sfaccettature di verde che si era inventato! Aveva fatto scaturire da quei monti fresche sorgenti e fiumare che impetuose scendevano a valle per poi placare la loro furia in un mare cangiante tra blu cobalto e argento pescoso. Insomma si era divertito a fare di quel lembo di terra qualcosa di veramente unico e speciale.
    Gli erano giunte voci (una colomba, pare) che quella meraviglia era diventata uno sfasciume pendulo sul mare. “Possono I calabresi non capire che tutta quella Grazia-di-Dio gliel’ho concessa affinche’ ne potessero usufruire e prosperare avendo cura di conservare e tutelare un patrimonio ambientale e paesaggistico che per la sua bellezza puo’ attirare gente da tutto il mondo?” si domandava un Dio perplesso e preoccupato. E la preoccupazione divento’ sgomento quando si accerto’ che gli abitanti di quei luoghi sopportavano che quella meraviglia venisse lasciata alla speculazione e agli appetiti famelici di gente senza scrupoli che in combutta con governanti cialtroni e corrotti e una chiesa pavida e troppo occupata nei suoi calcoli di immagine, avevano finito col deturpare quella terra piegandola ai loro subdoli interessi fino a deturparne anche l’identita’: da terra delle meraviglie a terra di ndrangheta.
   “Delle due l’una: – disse un po’ incazzato – O durante la creazione qualcosa e’ andato storto e non me ne sono accorto, oppure concedere all’uomo la libertà e il libero arbitrio non è stata una mossa giusta. In entrambi I casi, si tratterebbe di uno sbaglio ma cio’ confligge con il mio essere onnipotente e perfettissimo, e alla mia eta’ non mi va di entrare in crisi di identita’. Oramai e’ fatta e non ho ne’ tempo ne’ voglia di rimettere tutto in discussione. E comunque aiutati che Dio t’aiuta!” aggiunse un po’ sornione…
    Assunte quindi le sembianze di un attempato signore, decise di materializzarsi in un angolo di quella terra che gli era venuto particolarmente bello. Aveva in mente, una volta accertata la considerazione che gli uomini hanno di Lui, di recarsi alla villa comunale della bella cittadina di Palmi e da lì proseguire fino al sovrastante monte Sant’Elia ed illudere i sensi contemplando lo spettacolo davanti a sè: un tratto di costa che il suo figliuolo Platone pare avesse definito Viola per l’inteso colore violaceo che le acque del mare assumono tra la pittoresca Bagnara e la mitologica Scilla passando dalla mozzafiato Porto Oreste all’incastonata perla di Cala Janculla. Una illusione ottica di luce, mare e fondali con visuale sullo Stretto.
   Pensava gia’ a librarsi dal monte, dare un’occhiata panoramica al vicino e altrettanto sventurato capolavoro siculo, e da li’ fare ritorno nell’alto dei cieli. “Che Meraviglia che ho fatto” – disse un Dio compiaciuto e senza dubbio esteta.
    Assorto in questi pensieri si ritrovò sulla strada che porta a Palmi nei pressi di un ponte che congiunge le due sponde del fiume Petrace. Un ponte che gli umani chiamano Pontevecchio, forse perché per ricostruirlo dopo che era stato distrutto da un terribile alluvione , avevano impiegato tra appalti, subappalti tangenti e provviste varie quasi trent’anni e, una volta terminato, era gia’ vecchio. Giunto sul ponte, si accorse di un uomo che camminava speditamente davanti a lui. “Ecco -- disse fiducioso –quest’uomo fa proprio al caso mio. Sperimenterò su di lui la considerazione degli umani nei miei confronti”.
    Affrettò il passo e raggiuntolo gli si fece incontro e con fare molto garbato gli domandò:
- Scusate, buon uomo posso chiedervi dove siete diretto?
    L’uomo lo guardò di sbieco e quasi seccato rispose:
- A Parmi vaju!
    Al che il Padreterno, sempre garbatamente lo corresse dicendo:
- Andate a Palmi se vuole Dio?
    L’uomo si irrigidi’, gli lanciò uno sguardo di sfida e con disprezzo rispose:
- Vaju a Parmi se voli e se non voli!
   A quel punto il Creatore, messa da parte la sua infinita bontà e misericordia, preso dalla collera, lo trasformò seduta stante in rospo e lo scagliò in una pozza d’acqua stagnante formata dal sottostante fiume Petrace, sospirando “Bella riconoscenza! E’questo il modo di comportarsi con chi, oltre ad averlo creato, si e’ pure immolato per lui”. Quindi deluso e infastidito lasciò la terra e in un batter d’occhio se ne torno’ nel paradiso.
    Nei giorni successivi, pur essendo impegnato a valutare miriadi di richieste accumulate dalla e per l’eternita’, non riusciva a togliersi dalla mente il ricordo di quel giorno terreno. “Forse – pensava – con quell’uomo sono stato eccessivamente severo. Forse quel poveretto quel giorno era in un momento di crisi e di sconforto e si è lasciato andare. E poi che Padreterno sono se non riesco a capire e perdonare?”. Insomma si rese conto di averla fatta grossa e di dovervi porre rimedio. Così in men che non si dica, si fece preparare il carro celeste e una volta a bordo, inforco’ la rotta che dalle Plejadi conduce al sistema solare e
atterro’ nel punto esatto del ponte da cui aveva scagliato l’uomo nel fiume.
    Restituite al malcapitato le  umane sembianze e ricollocatolo sul ponte, gli si accostò e col solito garbo gli ridomandò:
- Scusate buon uomo, posso chiedervi dove siete diretto?
    E l’altro di rimando:
- A Parmi vaju!
   Allora il Padreterno un po’ incredulo ma con voce bonaria e accomodante gli richiese:
- Andate a Palmi se vuole Dio?
   L’ uomo lo guardò, strinse i pugni e a bocca spalancata, con quanto fiato aveva in gola gridò:
- VAJU SE VOLI E SE NON VOLI... E SE NNO U GURNALI (stagno)E’ JIA’! 
   Pare che Dio proprio allora, mantenendo a stento la calma, abbia coniato la metafora “Testardo come un Calabrese”.