domenica 17 maggio 2015

TERESA PANDOLFINI...LA POESIA E I SILENZI

di Antonio Roselli
    Il ritratto essenziale e senza ridondanze, come piaceva a lei, di una poetessa di Calabria che amava questa terra e le sue incredibili radici  europee e credeva nella possibilità del suo riscatto mediante una cultura senza improvvisazioni e protagonismi.
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    C’è chi – e sono in tanti – per accreditare di sé un’immagine improbabile di poeta ha bisogno di pubblicare raccolte su raccolte di versi in un’ansia spasmodica di essere conosciuto più che di conoscere. C’è chi, come Teresa Pandolfini, solo con un’essenziale silloge di versi rivela una gran parte del proprio mondo lirico e umano, ma soprattutto la padronanza di quel valore eterno della poesia come conoscenza, come rigore stilistico assoluto, emblema del rigore esistenziale di una vita intensa conclusa prematuramente  il 17 luglio di tre anni fa.
    In Teresa Pandolfini, grande docente di 

Lingue e letterature straniere nei nostri licei, in effetti il rigore non è solo argine al traboccante lirismo di un’anima, ma è la risultante sofferta di un gusto spontaneo e snervante per il bello, affinato dalla lettura dei classici di varie letterature europee ed angloamericane, dall’amore per la poesia, la musica e il cinema di Francia - in particolare dei Poetes Maudits e della fioritura esistenzialista - dall’insegnamento nei liceo di Nimes, dalla frequentazione della Grande Maria Luisa Spaziani, nostra docente all’università di Letteratura Francese e grande della poesia contemporanea, e, mediante quest’ultima, anche di Eugenio Montale.
    Un gusto che nella Pandolfini si coniugava con un solido razionalismo mutuato da quel Gramsci alle cui idee di riscatto nazionalpopolare l’aveva educata il papà Ernesto, ma anche con una fede crescente in quel Cristo, nella cui presenza nella propria vita aveva trovato con fatica e amore tante certezze dopo anni di combattimenti e di paure.
    L’analisi dell’unicum poetico “La casa del Tempo” viene condotta  attentamente e con straordinarie intuizioni critiche dal giovane scrittore e saggista Antonio Roselli, che riesce a entrare in punta di piedi nel mondo luminoso di questa vera poetessa che ha sempre evitato ribalte e onori e considerato il linguaggio lirico solo uno spontaneo strumento espressivo della propria anima. (Bruno Demasi)

   Teresa Pandolfini : uno sporadico concerto nei frutteti

   Il tempo di Teresa Pandolfini è una dimensione insicura, una variabile di sentimenti capace di farci misurare con le angustie, gli abissi, la solitudine, le nebbie dell’inverno di una poetica che ancora oggi ci stravolge e si nega, che si sottrae e ci solletica dai recessi della sua essenza panica ed aspra.
   Una poetica difficile da combinarsi con la bambagia artificiale di tanta letteratura contemporanea.
   Non ci stupisce sapere, pertanto, che Teresa Pandolfini si custodì nel suo isolamento, lontana dalla “società letteraria” calabrese, non affermandosi, per come meritava, nonostante alcuni calorosi riconoscimenti .
   Si direbbe quasi che la sua inaccessibile dialettica interiore, tutta santa e melanconica, l’ha resa un’offerta sacra o il sacrificio di se stessa e della sua officina umana ed artistica.
   L’archivio dei suoi inediti, infatti, pare essere un’oreficeria poetica che attende il conforto di un meticoloso lavoro filologico.
   Malgrado questa sua condizione un po’ appartata, contigua alla discrezione ed al silenzio, cercherò dunque di sfiorare, con il mio acerbo fervore esegetico, il quadro delle sue brevi, compiute composizioni scelte contenute nell’ unicum La Casa del Tempo.

  Nella casa del tempo
in cima alla collina
di fronte al mare
vorrei essere ancora.

  Una rincorsa
e già nella pineta
accovacciato il corpo
aprivo un varco all’anima
per librarla in azzurro
o concentrarla
in una goccia di resina.

   Adesso
che la mia libertà
si muove
in troppo angusto spazio
quella di un tempo
ricerco, ritrovo
nel profumo di un ago
di pino.


   Le liriche, che hanno la sembianza di un raccoglimento estemporaneo, un piccolo angolo raccolto di una stanza, un luogo inaccessibile di una siepe incolta ; sono impolverate da un indiscusso manierismo linguistico intervallato da fuochi incantanti di lirismo.
   Tutto nasce da un doppio, contraddittorio movimento: da un lato vi è la fiera rivendicazione della propria genesi multietnica “Io qui sono nata\ da questo crogiuolo di razze\ e dentro me porto \sentori di coste lontane” , dall’altro la dolente autocritica , la pensosa inquietudine della maturità : “ Resta in me esile voce\ che si spegne \ col sole all’orizzonte\ che non sa più rincorrere le note\ del suo dolore antico”.
   Da quest’ultima analisi parte il Manierismo della Pandolfini. L’eredità contratta con il Simbolismo (non dobbiamo dimenticare la vocazione francesista della Nostra) viene fatta quadrare, sul piano poetico, con la lezione classica ( le rime alternate, incrociate e baciate di Jo soy), crepuscolare (come nei versi de La casa del tempo ) ed ermetica ( quanto è ungarettiana la Nostra : “Nel telo bianco e tiepido dell’alba\ mi avvolsi come nel grembo di mia madre” ).
   E’ interessante osservare, segnatamente, come il Simbolismo di Rimbaud, di Baudelaire, di Mallarmé impresti la sua lezione ad un’autrice che lo stravolge , ribaltando l’ avvilimento in un rimborso individuale e sociale , come comprovato con i versi di Kalabria : “ Qui sotto una zolla nascosto\ tra i bruni boschi d’aranci\ pulsa ancora sepolto \ il cuore degli uomini” , oppure in Visione:

    Il sole 
ha dissolto
le rocce
ed i miti.
   Il silenzio
contempla
la polvere.
   Ma le onde del mare
da cui, a tratti,
affiorano volti
rivelano
che tutto lì è custodito
e che dagli abissi
uomini – semidei
aprendo biblici varchi
si ergeranno sull’acqua.
   Risa di fauni fuggenti
risuoneranno tra viti.
   Le cime ondeggianti di ulivi
da altri mondi
trasmetteranno bagliori.
   Calabria
sarà Eden ed Ellade
e insieme Futura.


   Qui, come in Paesaggio, il peso del simbolismo viene trapassato, confuso : ciò che consideravamo cultura si fa natura primordiale e diventa materia di carne e sangue che soccorre un momento di dubbio, di immobilità, di sospensione ( Piove rada la luce sugli ulivi \ sopra gli ultimi merli del castello.\ Sulla valle che aspetta già domani). La ricerca di una corrispondenza tra la natura fisica e musicale delle cicale e del passerotto canterini, del Pan suonatore, delle risa dei fauni tra le viti; sembra giungere dall’eco dell’adorato Verlaine .
  La presenza della lirica Romanza sembra, assieme al dettato di Paysages du Midi, appartenere ad un caso a parte nella silloge, sia nella forma ( uno un poemetto e l’altro una prosa in lingua francese), sia nello stile .
  In Romanza, infatti, ritroviamo il dispiegamento di una vera e propria narrazione di storia familiare trasportata ed elevata dal realismo della cronaca , pur ancora percepibile, ad una ripetizione lirica che funge da pia raccomandazione ai figli : “Se andrai un giorno \ figlio\ nella lontana Argentina \ ricordati …”.
  Nella poesia l’imperativo “ricordati” è ripetuto ben quattro volte, non solo come efficace figura retorica, ma, altresì, come severo monito di recupero delle proprie radici antropiche , quasi un obbligo morale di affondare nella memoria rigenerante del sacrificio dei nonni emigrati.
  La “aspettativa della memoria” che in Romanza viene colmata con la certezza dell’inciso : “So che lo farai” è una costante delle quattordici composizioni de “La Casa del Tempo” . L’opera stessa si apre con l’eloquente dedica : “Al mio paese. \ Alla sua gente.\ Alle nostre comuni radici.” .
   Ed è proprio ad alcune di queste radici vigorose che si rifà la struggente descrizione di Tramonto a Oppido antica:

     Smettetela, cicale canterine!
    E’ giunta quasi l’ora del tramonto!
Piove rada la luce sugli ulivi
Sopra gli ultimi merli del castello
Sulla valle che aspetta già domani.

    Sul sentiero saltella un passerotto
Lentamente si spegne la canzone
Con la luce del sole sua compagna.

    S’alza forte un respiro dalla terra.
La porta Sud, presto, ombre, chiudete! 

                                                                            ( Antonio Roselli)