lunedì 25 maggio 2015

TRA IL PORTO DI GIOIA E IL PONTE SULLO STRETTO PASSA ANCHE IL RESTO DEL SUD…

di Domenico Napoli
   Quante le occasioni mancate per questo Sud, preda di propagande fumose e contraddittorie che distruggono prima ancora di costruire? Bisognerebbe forse trovare il coraggio di chiedersi se il mancato decollo del porto di Gioia Tauro e l’abbandono del progetto di ponte sullo Stretto siano elementi casuali di ordinaria congiuntura o piuttosto elementi di un disegno teso ad affossare ulteriormente il Sud. E’ quanto si domanda Domenico Napoli con riferimento alle controverse, ma lucide analisi condotte da G.E.Valori.
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    Giancarlo Elia Valori può essere discutibile come intellettuale e personaggio pubblico, ma la sua analisi sulla situazione del Sud, e in particolare della Calabria, anche se risalente a qualche anno fa, è sicuramente illuminante per quanti non si accontentano di certa retorica falsomeridionalista che non approda a nulla.
    Se rileggiamo insieme a lui i vecchi meridionalisti, da Giustino Fortunato a Gaetano Salvemini fino a Manlio Rossi-Doria e, per certi aspetti non economici, a Leonardo Sciascia, scopriamo che la questione meridionale è una questione di liberalismo. Il costo di produzione dei beni agricoli del sud è strutturalmente elevato, l’area di coltivazione è inevitabilmente ristretta, basti ricordare la definizione di Giustino Fortunato del Meridione come di “uno sfasciume pendulo nel Mediterraneo”, che aveva un serio fondamento geologico, se poi si inseriscono meccanismi protezionistici, il disastro è completo.
    E’ una lezione da tenere a mente anche oggi: se non creiamo un mercato ampio dei beni UE e Mediterranei incentrato nel Sud, ogni tipo di investimento nell’area diverrà inutile o, se guardiamo alla criminalità organizzata, pericoloso.
    In questo senso, il taglio progressivo degli investimenti in infrastrutture di trasporto nel Sud può avere un effetto duplice: o si crea una serie di occasioni private di investimento, anche internazionali, in attesa che il Corridoio Berlino-Palermo internazionalizzi l’economia siciliana e le infrastrutture portuali calabresi,e si valuta la opportunità di questi progetti in termini di project financing; oppure si ritorna a investire nelle infrastrutture su gomma e soprattutto su ferrovia in attesa che il sistema portuale Gioia Tauro – Lamezia – Messina - Palermo si innervi con la rete delllo stesso Corridoio.
    E’ bene essere chiari: la problematica riguardante la presenza della criminalità organizzata è essenziale ma le organizzazioni illegali sono, in primo luogo, attentamente contrastate dalle Forze dell’Ordine e, in secondo luogo, se ampliamo e liberalizziamo l’economia locale meno potrà essere forte la presenza della malavita tradizionale che, peraltro, si è già largamente trasferita nel Nord Italia e nel resto dell’Europa Centrale .
   La Zona di Attività Logistica di Gioia Tauro dovrebbe diventare il centro delle attività di smistamento per tutta la rete ferroviaria nazionale.
   Occorre quindi rovesciare la logica con la quale, fino ad oggi, si è affrontata la questione del porto di Gioia Tauro: utilizzare lo scalo calabrese per raggiungere ben oltre l’1% dell’import via mare italiano annuale, come oggi accade, e connettere il gateway logistico di questo attracco commerciale direttamente alle linee ad alta velocità per le merci che sono state previste dai capitolati europei del Corridoio Berlino - Palermo.

    Il rinnovamento dell’autostrada A3, che è di fatto una superstrada, è poi parte integrante di questo progetto di adattamento dell’area calabrese e siciliana alla prossima grande occasione di sviluppo, quella dei corridoi paneuropei.
    Sarebbe stato possibile già da un pezzo e dovrebbe ancora essere possibile che il Ponte sullo Stretto, con un appalto di circa 3,88 milioni di Euro, potesse innescare uno sviluppo autopropulso dell’area, anche sul piano della logistica, secondo il modello tradizionale del take off di Walter Rostow, ma è verosimile pensare che gli investimenti infrastrutturali paralleli a quelli del Ponte sullo Stretto avrebbero dovuto essere programmati in sinergia con la realizzazione dell’opera principale, per evitare che l’indotto del ponte generasse solo redditi nel terziario o, addirittura, nella rendita improduttiva.
     Certo, la situazione del Sud è molto seria e in via di progressivo aggravamento: il rapporto PIL/abitante è circa la metà di quello del centro-nord, il tasso di disoccupazione ufficiale è il triplo, l’economia sommersa vale per il doppio di quella del Centro e del Settentrione.
    E’ il risultato di una lunga serie di errori, dagli accordi agricoli con la Francia del neonato Regno d’Italia negli anni ’70 del XIX secolo, che posero fine al circuito virtuoso tra Nord e Sud che aveva caratterizzato l’economia agraria, alla distribuzione a pioggia di aiuti negli anni ’60 del secolo scorso, che hanno “drogato” l’economia meridionale e l’hanno posta, fin dall’inizio, fuori mercato,
alla situazione attuale, caratterizzata da una forte contrazione produttiva e dal continuo intersecarsi di economia “grigia” e “nera” con quella legale.
   Il che è ovvio: se il sistema meridionale è stato costruito per essere sostenuto da risorse esogene, e queste vengono a ridursi grandemente, allora la liquidità prima pubblica ed esterna diviene ugualmente esterna, ma illegale e privata.

    Una logica di “sostituzione” che regionalizza il Sud, lo esclude dai contesti produttivi nazionali e UE, distrugge i tessuti produttivi rimasti in funzione di quella “immediata preferenza per la liquidità” che caratterizza le economie illegali, che sono finalizzate alla costituzione di una rendita occulta, non al reinvestimento nel ciclo produttivo locale.
    Non si tratta di gestire spese che abbiano rilevanza elettorale o politica, o di operazioni per ripetere le “cattedrali nel deserto”. Qui si tratta di investire davvero nelle infrastrutture, perché altrimenti non tra un secolo e nemmeno fra qualche anno, ma in tempi molto più brevi, ritorneremo esattamente nella stagnazione plurisecolare che caratterizzò l’Italia, tutta l’Italia, dal XVI secolo all’inizio dell’Ottocento.