giovedì 11 giugno 2015

A 35 ANNI DALL’UCCISIONE DI PEPPE VALARIOTI

di Maria Lombardo
    Non so se sia un caso che l’ 11 giugno ricorrano insieme l’ anniversario della morte di Enrico Berlinguer (il trentunesimo) e quello dell’uccisione di Peppe Valerioti(il trentacinquesimo), ma è certo che anche queste coincidenze, questi tasselli dimenticati della storia vanno incastonati al posto giusto per poterne cogliere le mille sfaccettature e per poter comprendere che ogni evento non è affatto casuale. Di Peppe Valarioti, mio collega di studi ed amico indimenticato, ho già scritto una pagina rievocativa su questo blog qualche tempo fa, ma oggi è Maria Lombardo, la storica nicoterese attenta in modo non accademico e senza fronzoli al nostro passato, che si occupa doverosamente di ricordarlo ancora una volta (Bruno Demasi).
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   Peppe Valarioti operò nel Rosarnese è morì nell’Agro Nicoterese, morendo da eroe per mano mafiosa esattamente 35 anni fa. Con molto rammarico mi chiedo come mai lo Stato non abbia mai ricordato questo importante figlio di Calabria, anche se spesso ci è stato raccontato di questa Calabria terra insanguinata, terra di, mafia terra di cui ogni primato doveva essere in negativo, ma questa storia dimenticata che ritorna sempre prepotentemente a distanza di anni grazie al ricordo di chi conosceva questo giovane professore che

 ha speso la vita per gli altri, per gli ultimi della sua terra.
   La vicenda si svolge in anni molto particolari quando la Piana viene irrorata di fiumi di denaro: il pacchetto Colombo, il Quinto Polo Siderurgico ennesima cattedrale nel deserto, favorendo così la crescita delle’ndrine che aumentano i lorointroiti e il potere.
    Il Governo in quel periodo asseriva di voler  creare 7500 posti di lavoro in Calabria, le risposte dello Stato però tardavano ad arrivare e alla voce del popolo stanco e affamato si unì anche quella di Peppe, un fine intellettuale, un professore di lettere con la passione per l’archeologia assieme a Natale Pagano e Lellè Solano, aveva contribuito a rinvenire i pezzi più belli della Grecità Medmea, convinto che l’impegno politico sia prerogativa fondamentale dell’uomo di cultura e che l’impegno antimafia sia il fine e l’inizio dell’attività politica.
    Insegnava dei valori, Peppe,  quelli che probabilmente oggi non si insegnano più nelle scuole, neanche attraverso le danarose manifestazioni  pro legalità, ed il movimento antimafia in Calabria cominciava a far paura quando asseriva con forza che valori inalienabili come la casa, la scuola ed un salario sono un diritto e non un favore da chiedere. Un professore, un dirigente del Pci di cui la sinistra oggi sente terribilmente la mancanza era questo Valaroiti.
     Tutto ebbe inizio la notte tra il 10 e l’11 giugno dell ’80, Peppe stava festeggiando con i compagni di partito una vittoria epocale in un ristorante nel Nicoterese. La linea scelta da Valarioti a quelle elezioni era stata premiata e lo faceva non per coraggio ma per coerenza, politica e civile. Viveva in un quartiere noto a Rosarno, il rione Corea, dove spadroneggiava una cosca locale e si trovò ad affrontare i mafiosi a viso aperto, senza scorta e senza spalle istituzionali. Era stato lasciato solo dallo Stato. La linea scelta da Valarioti a quelle elezioni era stata premiata e lo faceva non per coraggio ma per coerenza, politica e civile.

    Le numerose intimidazioni fattegli anche de visu non riuscirono a scalfire una delle pagine più belle e brillanti del P.C.I a Rosarno. La gente cominciava così a credere in quell’intellettuale con gli occhiali quadrati e le lenti spesse, le ndrine che a quelle elezione pensavano di distruggere il giovane politico si sbagliarono ed è per questo che la notte tra il 10 e l’11 giugno del 1980 esultarono per la sua uccisione rimasta avvolta nel mistero.
    E’ stato il primo omicidio politico in Calabria, una sorta di battesimo di sangue per un rampante politico attento ai diritti di braccianti, studenti e, perchè no, allo sviluppo socio culturale della Piana dove la ndrangheta manteneva pieni diritti. La politica di Valarioti era un impegno quotidiano e da qualche anno la ‘ndrangheta aveva iniziato a estendere le sue infiltrazioni nel mondo delle istituzioni, cercando contatti col potere, quello marcio, quello della politica che si svende ed è svenduta.
    Non era certo quella la politica per Valarioti: dovunque ci fossero possibilità e volontà, per la ‘ndrangheta, di sottrarre il presente alla Calabria egli cercava di opporsi. Lo faceva anche tra i suoi, dove , secondo lui c’erano “ troppi compagni distratti, troppo”. Erano gli anni di Enrico Berlinguer, dell’austerità e della questione morale. Anche per Valarioti bisogna avere le “mani pulite”, più pulite degli altri e a quel tempo un minimo “sgarro” o ruberia era penalizzato fortemente dal partito: altri tempi!.
    Una campagna elettorale davvero infuocata quell’anno a Rosarno: persino i boss più forti sembra vi avessero fatto ritorno da fuori per tenere d’occhio Giuseppe, che si spinse oltre quando in un comizio, proprio nel giorno delle esequie della madre di un boss, urlò queste parole:”Se pensano di intimidirci non ci riusciranno, i comunisti non si piegheranno”.
    Questa è verità storica, ma non giudiziaria, come documentano Danilo Chirico e Alessio Magro nel loro libro edito da Round Robin “Il Caso Valarioti. Al delitto infatti seguirono ben 11 anni di processi senza però arrivare alla conclusione: il presunto mandante è stato assolto per insufficienza di prove. Il caso Valarioti è così forse destinato all’oblio ed a rimanere senza giustizia: indagini approssimative e depistaggi, un caso unico in Italia per il quale non si è celebrato un processo d’appello per omicidio. Ed i caso è stato presto chiuso!      
   Ma non resta e non resterà chiuso per le migliaia di Calabresi onesti che ancora ricordano e ricorderanno!