mercoledì 3 giugno 2015

Strisce di Calabria: ALLE ORIGINI DELLA CIVILTA' DELLA PIANA : I TAURIANI

di Felice Diego Licopoli
   Medma e Tauriana sulla costa  dell'attuale Piana di Gioia Tauro; Mamerto, erede in gran parte della civiltà  di Tauriana nell'entroterra preaspromontano: tre poli  incredibilmente importanti, cronologicamente non coincidenti, ma sicuramente omogenei e tutti  ancora da esplorare. Tre  città-civiltà fiorite (quando  tanto Nord, che oggi ci affama, balbettava soltanto i preliminari dell'alfabeto)  in uno dei luoghi più belli del mondo, oggi ridotto a una quasi cloaca dall'incuria dei nuovi barbari.
   Della civiltà dei Tauriani parla qui con grande attenzione e sicura competenza Felice Diego Licopoli, scrittore dalle ampie  e insospettate sperimentazioni linguistiche che sarà presto qui con un'altra delle sue incredibili pagine, stavolta in veste di storico e di guida  in un parco archeologico ( cui si riferiscono tutte le foto che corredano questo post) ingiustamente e stupidamente quasi sconosciuto, che tutti dovrebbero visitare, specialmente le scuole che fanno sprecare soldi alle famiglie della Piana solo per far visitare ai ragazzi  il Nord e le disneyland di turno, le insipide ricostruzioni di plastica della storia e le fabbriche di panini e polpette dal nome americano (Bruno Demasi).
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    Qui ed ora, esordisce Stephen King in un suo romanzo. Qui ed ora, siamo nel presente che scorre, dove neppure una vista sgombra garantisce una visione perfetta. Esiste un luogo, tuttavia, in contraddizione con questa frase, dove proprio qui ed ora la visione supera lo stesso concetto metafisico di perfezione,dove lo spazio, intriso della verde natura, si mescola al tempo, il quale perde il significato di unità di misura della Storia, fondendosi con la Storia stessa, che a sua volta si riflette nei percorsi delle varie epoche, che si frammentano per poi ricomporsi in un unico insieme, regalando all'occhio una meraviglia eterna, regale, immutabile, in simbiosi con la testimonianza delle antiche civiltà che hanno abitato questi luoghi incantati.
  Dalla terrazza del “bosco”, inoltre, si può ammirare, immersi in un oceano di silenzio, la meravigliosa vista che affaccia sul mare Tirreno, abbracciando gli scogli dell’Ulivarello, ed ancora più in là le isole Eolie e la Sicilia. Taci, su le soglie del bosco non odo parole che dici umane, così comincia una delle più belle poesie di D’Annunzio.

    Si tratta del parco archeologico dei Taureani, intitolato ad Antonio de Salvo, che si trova proprio lì, ad un tiro di schioppo dalla Tonnara di Palmi, nella località di San Fantino, nei pressi di Taureana. Vale la pena esplorarlo, immergendosi nei meandri di una vera e propria avventura.
    Addentrandoci nel parco, poco alla volta, alla nostra destra scorgiamo una pavimentazione in basoli di pietra dura lastricata; è la grande strada urbana,risalente al periodo romano; da essa si accedeva alle gradinate dell’”anfiteatro” dedicato agli spettacoli, mentre la sua prosecuzione conduceva direttamente alla Via Popilia, importante asse viario di collegamento tra Reggio, Capua e Roma.

    Scendendo per questa stessa strada, a passi ponderati e lenti, ecco che ci ritroviamo davanti proprio all’edificio adibito agli spettacoli; esso è costituito da una cavea rivolta ad occidente, impostata su un pendio naturale roccioso e sostenuta a sua volta da possenti sostruzioni costituite da strutture speculari di forma triangolare e da una serie di setti radiali disposti regolarmente su ogni lato. Le murature dell’edificio sono state realizzate in conglomerato cementizio e rivestite con pietrame e mattoni, mentre tutto l’insieme si è conservato solo parzialmente. Dell’arena\orchestra è sopravvissuta soltanto la pavimentazione in laterizi.
   Fu costruito nel corso del I secolo d.C., e rimase in uso fino al IV secolo d.C., quando un editto costantiniano proibì giochi e spettacoli pagani.

   Riprendendo il cammino, il nostro sguardo si posa su alcuni ruderi disposti all’interno di una struttura rettangolare: si tratta dei resti di un’antica villa romana, la cui superficie conservata risponde ad una misura di 400 mq. In uso dal II al I secolo a.C., essa si identifica come edificio pubblico, o come abitazione privata di un personaggio pubblico.
     Ubicata sul bordo del terrazzo, è delimitata da un muro realizzato con grandi blocchi di calcare lavorato in opus quadratum, che doveva conferirgli un aspetto imponente. Tra i numerosi vani, organizzati intorno al vasto cortile pavimentato in terracotta, spicca la sala banchetto, all’interno della quale sono stati ritrovati i resti di una kline ( letto) di bronzo, ed un pannello musivo con una scena della caccia all’orso, testimonianza che al tempo, l’orso faceva parte della fauna del luogo.

 Un canaletto in mattoni, posta all’estremità nord del cortile, raccoglieva le acque meteoriche, provenienti anche da un ambiente pavimentato in cocciopesto, e le scaricava all’esterno. L’accesso all’abitazione era posto sul lato ovest, in corrispondenza della grande strada acciottolata. Nel corso della metà del I secolo,l’edificio venne demolito, ed il materiale fu riutilizzato per la costruzione del grande santuario adiacente alla villa. L’imponente santuario occupa una terrazza appositamente regolarizzata alla fine del I secolo a.C; la divinità venerata resta tuttora ignota.
    Il grande complesso sacro, è costituito da un porticato che si sviluppa su tre lati di un ampia area scoperta, al centro della quale sorge il tempio. Tale porticato, largo 5 metri, presenta una doppia fila di muri paralleli, in conglomerato cementizio, conservati a livello di fondazione.

  Sul lato sud era posto l’ingresso del tempio, mentre sul lato nord è rimasto un unico muro, a ridosso del ciglio del terrazzo, che doveva fungere da limitazione e parapetto, lasciando libera la visuale da e verso il mare. 
  Dell’antico santuario si è conservato sino ad oggi, l’alto podio, corrispondente ad 1 metro e 70, nel cui ingresso, posto nella parte settentrionale, si possono vedere tracce della scalinata.
     Proseguiamo oltre, ed incamminiamoci più a nord, verso la fine della terrazza. Alzando leggermente il capo, il nostro sguardo è catturato da un’impervia torre, che guarda dall’alto il profondo e calmo mare. Si tratta della torre saracena, che si discosta come età dal resto degli edifici del parco, in quanto costruita nel Medioevo.
   Ma non soffermiamoci oltre e torniamo indietro, ad osservare l’ultima, grande meraviglia del nostro “bosco incantato”. Spostandoci dalla parte opposta rispetto al santuario e la villa romana, incontriamo una vasta area rettangolare, delimitata da parapetti in legno; all’interno di questa, sono presenti alcuni spogli ruderi, che all’apparenza sembrano non avere un significato. Si tratta del più antico insediamento urbano dell’area, risalente al Neolitico, precisamente durante il V millennio a.C., in cui si registra nel pianoro un’occupazione stabile e strutturata nel corso del II millennio a.C.

    Si tratta infatti di un villaggio costituito da capanne, di cui sono si sono conservati alcuni brani dei muri perimetrali, realizzati con pietrame locale, i piani di calpestio, e resti di alcuni focolari. Sono rimasti in grande abbondanza inoltre, i materiali ceramici, ed una statuina fittile antropomorfa, di cui si conservano il busto e gli arti. Poco più avanti, sempre sulla stessa direzione, troviamo i resti dell’antica città brettia-romana. Dopo aver terminato finalmente il nostro percorso, ci affacciamo un attimo dalla terrazza, e respiriamo non soltanto col naso, ma anche con gli occhi della mente, lo stupendo panorama, che guarda fino alla Sicilia, e scopriamo che persino in età micenea, nemmeno Oreste, figlio di Agamennone, riuscì a resistere al fascino di questi luoghi, tant’è vero che dopo il matricidio di Clitennestra, giunse su queste coste allo scopo di purificarsi, così come di sfuggire alle furiose Erinni che lo perseguitavano.
    Bene, siamo giunti così alla fine, e possiamo trarre alcune conclusioni da questa bellissima avventura. La città brettia dei Taureani, ha attraversato due fasi di vita, di cui oggi è parzialmente visibile quella del II-I secolo a.C.
    La Tauriana romana è stata ripianificata alla fine del I secolo a.C., venne poi abbandonata nel IV sec. d.C. Da questo nucleo abitativo importantissimo, sono sorte poi le moderne popolazioni che hanno abitato ed abitano tuttora i paesi della Piana di Gioia Tauro.
    Tutt’oggi, l’associazione San Fantino si occupa della manutenzione del parco e delle visite guidate, atte a mostrare al turismo questa meravigliosa zona archeologica, tesoro della Calabria, da conservare e preservare con grande orgoglio e dignità.