domenica 28 giugno 2015

'U MONACU JANCU D’ASPROMONTE

di Maria Lombardo
   Questa Calabria  sorprende sempre: ha molto, e dico molto, da dire, basta ascoltarla, basta essere sicuri che essa  vuole essere scoperta. La storia che intendo raccontarvi potrebbe essere la sceneggiatura di un film che vede come location l'acrocoro aspromontano.
    In contrada Crocefisso, vicino a Bianco, esiste un vecchio cimitero contiguo ai ruderi del Convento di S. Maria della Vittoria che ormai è interamente scomparso, coperto dalla vegetazione circostante. Un convento che già dal 1678 era rinomato per le due “Fiere della Croce” che si svolgevano a maggio e che richiamavano gente da tutta la Locride , ma anche dalla costa tirrenica dell'attuale provincia di Reggio .
    Indubbiamente era tappa sicura per chi viaggiava per la Regione. Sempre da e  in questo luogo partivano ed arrivavano le lettere fra Padre Bonaventura e Maria Cristina di Savoia, regina delle Due Sicilie, la quale, prima di sposare Ferdinando II, aveva scelto di farsi monaca e scelto misteriosamente come suo confessore un monaco calabrese.
    Il complesso conventuale finì i suoi giorni quando subì le violenze dei soldati piemontesi che, arrivati qui per unificare l’Italia, lo incendiarono e fucilarono i religiosi.
   U monacu Jancu, ossia Giuseppe Lucà , di origine polistenese, chiamato così perché albino e di pelle candida, fu inviato proprio in questo convento. Si innamorò perdutamente di una donna del luogo e iniziò ad offrirle un’ospitalità non proprio religiosa. Era proprio innamorato di Ciccilla Macrì, che nella sua parlata di Polistena chiamava "Ciccira".
    I frati che vivevano con lui si scandalizzarono di questo comportamento e più volte lo invitarono a placarsi. Si narra  però che il monaco era considerato una sorta di stregone. Proprio per questo motivo non fu cacciato dal convento: la sua condizione di albino lo faceva tacciare di atti di magia fondamentalmente temuti da tutti.... Rimase così ben presto unico ospite del convento.
    Vi sono molte storie legate a questa figura, tra cui una emblematica: nel 1859 moriva a Bianco il prete Giulio Medici. Dopo la messa funebre la salma venne condotta al Convento sopra citato, ma il giorno della sepoltura trovarono la salma sfregiata e con le gambe rotte. Era stato il monaco Jancu a ridurre in tale stato il corpo esanime del sacerdote Medici per vendicarsi di un’offesa da lui ricevuta anni prima.
    Tutti si domandarono attoniti ed inorriditi che cosa fosse successo durante la notte, ma qualcuno ricordò che qualche tempo prima il monaco Jancu s’era recato un giorno a Bianco, dove per caso aveva incontrato il sacerdote Giulio Medici, il quale, appena lo vide, lo chiamò a sé e, quando gli fu a tiro di bastone, alzò il suo, sul quale si appoggiava nei suoi movimenti, e gliene diede più che poté. Motivo di questa sfuriata del Medici era stato il fatto che alcuni giorni prima un suo colono aveva portato al monaco Jancu, anziché a lui che ne era il proprietario, le primizie di un frutteto quale disobbligo per averlo, il monaco Jancu, liberato dagli effetti malefici di una magia ed il sacerdote Medici se n’era risentito. Il monaco Jancu evidentemente aveva ingoiato per il momento il rospo, incassando le botte senza reagire, in attesa però dell’ora della vendetta, che era giunta appunto dopo la morte del Medici…
   Il monaco Jancu lasciò il suo regno terreno – il Convento del Crocefisso – per quello dell’aldilà qualche tempo dopo il febbraio del 1908. Si racconta che dopo la morte e poco prima di essere seppellito si svegliò e un prete di Bianco, per non consentirgli di “resuscitare”, lo colpì con una grossa croce di legno.
    Con la sua scomparsa il convento fu chiuso al culto divino e trasformato in cimitero, un cimitero monumentale per i paesi di Caraffa, S. Agata e Casignana