venerdì 28 agosto 2015

IL TESORO SEPOLTO E DIMENTICATO DI PARGHELIA

di Maria Lombardo
   La storia di Parghelia risale al periodo normanno e, a partire dai secoli successivi, si intreccia strettamente con quella di Tropea, di cui Parghelia fu uno dei 23 casali. Ma la società pargheliese, costituita prevalentemente da pescatori, marinai e agricoltori, fu da sempre insofferente alle prepotenze della Tropea nobiliare, insofferenza che sfocerà nel 1647 in un moto popolare che solo l’intervento dell’esercito del Regno riuscirà a sedare. 

    Vari studi concordano nel definire Parghelia come il più grande casato di Tropea a livello militare e il più autorevole a livello culturale. Nel 1799 tre Pargheliesi, Onofrio Colace, Antonio Jerocades e Andrea Mazzitelli, parteciparono alla Rivoluzione Napoletana. Nel 1783 e nel 1905 Parghelia fu colpita da due violenti terremoti: il primo non provocò danni considerevoli, ma il secondo rase completamente al suolo il paese, causando centinaia di morti.
    Oggi il paese mantiene l’assetto urbanistico della ricostruzione post-sisma (anni ’20), e la sua economia è essenzialmente basata sul turismo. Nell’Ottocento l'attività estrattiva della Calabria raggiunse il suo culmine ed interessò anche il comprensorio Briaticese. Già nel 1837 i materiali estrattivi di questo centro venivano utilizzati per la fabbricazione di stoviglie (artigianato locale e nazionale). I Borbonici furono consci che le cave di caolino di questa contrada sarebbero state utilizzate per fare ceramiche e porcellane molto rinomate, ma dopo un breve periodo abbandonarono il progetto.
    I reali di Napoli non dettero peso a queste cave: ma ci pensò l'ingegner Emilio Cortese, capo del Corpo Reale delle miniere d’Italia, a documentare le ricche georisorse della Calabria nel XIX secolo. Il noto studioso, tra l’altro, scrive: “Nei dintorni di Parghelia, in provincia di Catanzaro, si sviluppano dei grossi filoni di pegmatite, che furono e sono oggetto di una grande industria. La località fu visitata dallo scrivente fin dal 1882, la prima volta, e successivamente egli se ne occupò perché gli pareva assai interessante il materiale nelle sue applicazioni per l’arte vetraria e per la ceramica. Ma pare che questa preziosa materia sia destinata a cader sempre sotto la mano di gente che, o per ignavia, o per cattiva fortuna, non sa trarne tutto il profitto che può dare”. 

    L'industria che il Cortese cita era la Ginori di Firenze che acquistava tutto il ricavato estrattivo per intero ed a prezzi profumatissimi. Il Cortese forni dettagli anche sui modi con cui il prodotto veniva trasportato: “la materia pura è portata a Tropea ed imbarcata su grosse barche a vela. Viene acquistata quasi tutta dal Ginori di Firenze, dopo accurata macinazione. Questa si eseguisce in Toscana per conto di un intercettatore. Ne vidi, con grande meraviglia, macinare ad un mulino di Val Castello sopra Pietrasanta! Sono filoni entro la grande massa granitica di Monte Poro, e si chiamano pegmatiti per antonomasia, perché realmente si dovrebbero chiamare silici o filoni quarzosi, essendo che di essi ben pochi contengono feldespato”.
    Era questa la vocazione di Parghelia! Il prezzo aumentava con i diversi passaggi commerciali e Cortese descrive i particolari di queste operazioni: “la materia prima si vende a Troppa al prezzo minimo di 2 lire, al massimo di tre lire al quintale, ma costa al conduttore delle cave da 0,70 a 4 lire al quintale. Il trasporto e la macinazione fanno aumentare il prezzo a 6 lire (?) il quintale; è così, mi si disse, che viene a costare allo stabilimento Ginori, o Doccia presso Firenze”. 

    Effettivamente tra i tanti giacimenti disseminati in Italia il colosso della porcellana sceglie proprio le cave di Parghelia dove la materia è straordinariamente pura, specialmente perché scevra di ferro, ed adattissima per le vernici dure di cui la manifattura Ginori fa una sua pregevole specialità. Non tutte le industrie di porcellana a quel tempo era specializzata come la Ginori. Scrive sempre l’ingegner Cortese: “Riporto dal mio opuscolo, le analisi di alcuni esemplari, eseguite da me (1859) e dal dottor G. Giorgis”. E sottolinea : “se questi giacimenti fossero ben coltivati e i materiali ben preparati sarebbe possibile farne oggetto di una industria fiorente”.
    È chiaro che la Calabria si fece sfuggire questa occasione! Nella descrizione del capo del Corpo Reale delle miniere d’Italia non mancano i riferimenti ai fallimenti delle iniziative d’insediamento industriale, ben noti e diffusi nella regione negli ultimi decenni. Infatti l’ingegner Cortese annota: “nel 1891, la Società mineraria per il quarzi e silici d’Italia pareva potesse dare qui, come in altre parti della penisola, largo sviluppo alla produzione e utilizzazione di questi materiali. Travolta anch’essa ai primi del 1893 da una catastrofe bancaria che ha trascinato con sé molte altre cose, i suoi lavori, poco ben piantati, sono rimasti senza frutto”. 

    Nello stesso periodo in cui la Calabria forniva la migliore qualità della materia prima, nello stabilimento della Ginori, venivano realizzati "diversi servizi su ordinazione, di non facile reperibilità oggi sul mercato antiquario, abbastanza simili a quello prodotto su richiesta del re Umberto I nel 1880. Si trattava di una realizzazione di grande raffinatezza, decorata pâte sûr pâte illustrante tralci di piante con fiori e frutta in oro, platino e colori. Uno di questi servizi da dessert per il Re è oggi conservato a Roma nel Palazzo del Quirinale”.
    E’ stata dimenticata molto presto anche questa storia di successo e di speranza per un futuro migliore.