domenica 2 agosto 2015

L’ULTIMO GIORNO DI JOACHIM MURAT

di Maria Lombardo
    La tragica fine di Gioacchino Murat, e del sogno di unità della Penisola infranto dai Borbone per regalarlo intatto dopo pochi anni ai Piemontesi, ricostruita di prima mano e ora dopo ora, attraverso un’ attenta lettura degli atti depositati nel “ Fascio 623” dell’Archivio Borbone.
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   Aveva avuto inizio tutto il 20 maggio 1815: in seguito al trattato di Casalanza, il re Ferdinando IV di Borbone veniva richiamato a Napoli, Carolina si consegnava agli inglesi e Murat era costretto a rifugiarsi in Provenza. Napoleone aveva rifiutato di impiegare il “traitre extraordinaire” a Waterloo e dopo la catastrofe in Belgio, Gioacchino, braccato, era fuggito in Corsica. Da qui l’inizio del suo declino.
   Proprio dalla Corsica aveva inizio il suo inarrestabile declino, ma anche il mistero: possibile che avesse veramente creduto di potere riconquistare Napoli sbarcando in Calabria con trenta disperati còrsi?. Le tesi su questa scelta si fanno parecchie, ma pare plausibile quella secondo la quale egli sia caduto in una trappola abilmente ordita da agenti segreti borbonici e inglesi.
    Dichiarato ormai hors la loi (fuorilegge) era stato avvicinato infatti proprio a Bastia da un suo ex-aiutante di campo, l’ambiguo colonnello inglese Francis Macirone, che gli aveva consegnato i passaporti, preparati dal principe Metternich, per raggiungere in esilio Carolina Bonaparte, la moglie, a Trieste, dove si era rifugiata sotto la falsa identità di contessa di Lipona. 

    Contemporaneamente veniva contattato da due agenti borbonici, inviati dal ministro di re Ferdinado IV, Luigi de Medici, che aveva giurato la sua rovina, che voleva attirarlo in Calabria facendogli credere che i napoletani erano scontenti e pronti a sollevarsi a suo favore. Esaltato da questa falsa informazione e arruolati circa 250 uomini e cinque battelli, Gioacchino tentò la sorte: l’8 ottobre 1815 sbarcò a Pizzo Calabro: le sue schiere si erano molto assottigliate perché un’improvvisa burrasca aveva disperso quattro delle sue navi, che erano scomparse.
    Tuttavia vi è anche la versione popolare in cui si dichiara che re Murat nell'ottobre del 1815 sarebbe dovuto sbarcare su una spiaggia di Briatico. Quel giorno, però, a Briatico era festa: la folla, le grida che provenivano dal paese i tamburi rullanti, la grancassa, ma soprattutto, la vista dei giganti… spaventarono i francesi che decisero di allontanarsi e di sbarcare a Pizzo. I giganti, in quel momento, stavano cambiando la storia. 

    Il fascicolo citato spiega comunque come si svolse esattamente quella giornata :”E CONDANNATO A MORTE DALLA COMMISSIONE MILITARE QUAL NEMICO PUBBLICO, FEDELMENTE COMPILATO DA ME PASQUALE BOTTAZZI, SOTTOTENENTE COLLE FUNZIONI DI UFFIZIALE DI STATO MAGGIORE DESTINATO DI R. ORDINE PRESSO IL GENERALE NUNZIANTE COMANDANTE GENERALE NELLE CALABRIE”. Il Bottazzi che abitava a Tropea e che quella mattina uscì per fare una passeggiata giungendo fino all'abitazione del Nunziante così annota: «Il dopo pranzo del di 8 ottobre 1815 io sortiva dal mio alloggio in Tropea coll'idea di fare una passeggiata quando uscito fuori la Porta detta di Vaticano, ov'era l'abitazione del Sig.r Generale Nunziante Comandante Generale nelle Cala­brie, Commissario Civile, ed incaricato della Polizia alla cui immediazione io di R. Ordine mi trovava destinato, udii che questi di forte tuono gridando dicea “Lesto il cavallo, lesto il cavallo”. Ciò mi fece credere che affare di alta importanza n'era l'oggetto; accelerai perciò il passo verso di lui, ed Egli in vedermi a qualche distanza mi chiamò a nome, e m'impose di montare altro cavallo, e seguirlo; Tanto io praticai al momento, ed Egli precedendomi a tutto galoppo ci volgemmo dritto la strada di Parghelia”.
    Il Bottazzi dovette così seguire il Nunziante verso Pizzo. Durante il viaggio gli fu spiegato dal Comandante che si andava a Pizzo dove era stato arrestato il Murat: «Dopo aver corso circa quattro miglia domandai il mio Generale per dove eravamo diretti, ed Egli risposemi che andavamo al Pizzo a ritrovar Murat ivi poco fa arrestato. Quantunque io avessi conosciuto dalla corrispondenza riservata co' Ministeri tenuta dal mio Generale che Murat era sortito da Ajaccio su piccioli Legni, e con qualche seguito di Armata, tuttavolta credei uno scherzo la risposta datami da quello e gli soggiunsi non essere il momento di scherzare. Ma Egli di tanto seriamente mi assicurò.” 

    Strano anche per il Bottazzi quello sbarco di Murat su “piccoli legni” e le perplessità dell'interlocutore del Nunziante trapelano, ma finalmente giungono al Pizzo come racconta il fascicolo: «Giungemmo fortunatamente al Pizzo circa un'ora di notte, e smontammo alla Porta del Castello… Una Compagnia del 3° Regg.to Estero giunta colà da Monteleone custodiva il Forte ed i Prigionieri, che al numero di ventinove compreso Murat trovammo ristretti in una stanza chiusa da un cancello di legno. A questo accostatosi il Generale Nunziante parlò per un momento solo col sudetto, ed indi ritiratici in altra stanza contigua, si fece a dare delle disposizioni le più energiche per assicurare vieppiù la custodia dei detenuti”.
    Da Napoli le notizie e gli ordini giungevano velocemente a Pizzo: Murat doveva morire!
   Il Generale Nunziante non fece che vegliare e percorrere nervosamente l'interno e l'esterno del Forte reiterando animosamente ordini e doveri alla truppa. «Al far dell'alba per effetto delle precedenti disposizioni giunsero alcuni pezzi di Artiglieria di Montagna, che furono piazzati all'ingresso del Forte, ed in altri punti che si stimò necessario. Poco dopo giunse altra truppa… Allora fu - continua il Bottazzi - che il mio Generale dispose la separazione di Murat dagli Individui del suo seguito, e con un domestico di unità ai due Generali Franceschetti, e Natale fu scortato in altra stanza del Forte medesimo”. 

    Joachim venne condotto alla tavola del Nunziante con altri generali, ma ”Murat poco parlò durante il pranzo, e desinò parcamente. Il tutto fu decentissimo, e per quanto le locali circostanze permisero. Nei primi giorni seguenti Murat, ed i due Generali furono trattati separatamente con molta proprietà nel locale loro assegnato, ed i rimanenti del seguito lo furono egualmente nelle carceri ov'erano rinchiusi”.
    Il giorno 9 alle ore 6 il messo giunge da Napoli : ” Portava essa la decisione che Murat fosse stato giudicato da una Commissione militare qual pubblico nemico, e con lui tutti coloro del suo seguito, che si trovassero sudditi di S.M. Di questi niuno era tale».
    Fu il Nunziante che scelse le nomine che dovevano giungere da Monteleone. Intorno alle ore 13 Murat era in compagnia del suo cameriere Armand presente mentre egli si vestiva. Non gradì di essere giudicato da una Commissione militare: «Era Murat in pantalone di panno bleau, pianelle, berretta di seta nera in testa, e camicia. All'annunzio datogli gittò a terra la berretta che si tolse da testa dicendo «Ah foudre: Commissione Militare! A me Commissione Militare! E chi l'ha, ordinato?». «Chi poteva ordinarlo» risposi. «Ah foudre: - replicò egli - io so cosa vuoi dire Commissione Militare; Mi vogliono assassinare; Mi vogliono far morire. Badate a quel che fate... Come intendono trattarmi? Se credono che io sia qui venuto a rivoluzionare il Regno, ciocché non é, ne avrei tutto il dritto, ed in questo caso non sono che un Prigioniere di guerra”.
 
    Dopo aver lusingato gli ufficiali del Borbone credendo di portarli dalla propria parte , prende un sugello dove era custodita la stampa della sua Carolina: «Questa é la mia cara; questa è la mia moglie: vedetela (presentandone il suggello, al quale era incastrata una pietra, ed in questa inciso il volto di una Donna). Mia cara Carolina, miei cari Figli» esclamò di nuovo nel riprendersi il suggello, che tornò a baciare». «Prese quindi a parlare della sua famiglia istruendoci del numero dei figli, del sesso del nome e dell'età di ciascuno di essi; indi terminò con dire “Ah Figli! fra poco non avrete più Padre”». «Padre anch'io, e fornito di un cuore sensibile, non potei trattenere le lagrime, come non potei trattenerle altre volte nel corso della giornata, procurando sempre però di nasconderle al detenuto. Era io estremamente commosso non lo nego, ma ciò non intiepidiva il mio zelo pel disimpegno de' propri doveri; e s'io piangeva sulla sciagura di un mio simile, avrei esposta la vita come doveva, se per poco si fosse tentato da chicchessia di sottrarre alla Giustizia il pegno affidato alla nostra custodia”. 

    Convinto di dover morire Murat rifiutò un avvocato, ma aggiunse: ” Ferdinando potrebbe mettere una bella pagina nell'Istoria lasciandomi in vita; io non temo la morte; ma spiacemi una morte ignominiosa”. L' unica soluzione era una lettera alla moglie. «Avea egli sul tavolino ricapito da scrivere… Si pose a vergare una lettera. Mi avvidi che mentre scrivea reprimeva con pena le lagrime, e terminò con un colpo che dette al tavolino, dicendo “Ah! je suis content”. Poscia fece l'indirizzo alla lettera, che non curò di suggellare, ed a se chiamatomi “Signor Uffiziale, mi disse, dovete farmi un favore; È questa una lettera diretta alla mia moglie; vi prego fargliela arrivare”. Di lì a poco entrò un prete. Lo fecero uscire subito dopo e, giunto sul posto dell'esecuzione, rifiutò di essere bendato …«A voi soldati, esclamò, tirate; non mi mancate però»
  La Truppa eseguì, e cadde morto all'istante. 
  Era il 14 ottobre 1815 e gli abitanti di Pizzo, ignari di tutto, erano intenti alle loro umili  occupazioni quotidiane.