domenica 27 settembre 2015

U PISCATURI METAFORA DI CIVILTA' DELLA PIANA

di Ciccio Epifanio
    Ricucire con pazienza le reti per poi gettarle al largo e continuare a sperare, anche quando il tempo congiura contro ogni logica e ogni speranza, è la missione del pescatore, quasi evangelica se è vero che proprio quando tutto è fermo - come oggi tutto è assolutamente immobile in questa Piana sommersa dai problemi e dalle paure - lo stesso Cristo usa questa espressione per svegliare i suoi discepoli addormentati: "Gattate le reti!"
    Gettare le reti per convertire al Bene e al Bello senza tempo, gettare le reti per riportare a riva il progetto di una vita migliore, gettare le reti per dare un senso a ogni esistenza
    E' quanto ha voluto affermare nel suo splendido monumento al Pescatore alla Tonnara di Palmi, inaugurato due mesi fa, lo scultore Achille Cofano che lo ha realizzato  grazie all'impegno dell'Associazione Culturale "Prometeus".
     E' quanto vuole riaffermare il poeta e cantore della Calabria Ciccio Epifanio in questa misurata e magnifica  lirica impastata nella nostra lingua e  indirizzata proprio a questo gruppo bronzeo che dal litorale di Palmi sembra voler consegnare al mare il ricordo della civiltà perduta della Piana che i nostri figli e i nostri nipoti ormai disconoscono (Bruno Demasi)

‘U munumentu o’ Piscaturi

I Parmisani, genti ‘i sentimentu,
o’ piscaturi da Tunnara ‘mbrema
di bronzu nci izaru munumentu
chi pe’ lu scrusciu ‘a terra ancora trema.

Cu veni a Parmi e cala a la Marina
rresta mmagatu di ‘stu gran talentu:
pari l’antica matri Hera Lacina,
la Tunnarota nta lu basamentu.

Di vantu e da so’ genti la fortizza
trabucca la so’ facci e di culuri,
mentri la vita scogghi cu la rizza
di latu magghia a magghia ‘u piscaturi.

L’artista chi criau ‘stu munumentu
havi dill’arti forza e magarìa
e sapi mu ricogghi a nu mumentu
d’a vita lu misteru e la poisia!

                                   Settembre 2015 - Francesco Epifanio

venerdì 11 settembre 2015

NOSSIDE DI LOCRI : POESIA ED AMORE E TORMENTO

di Felice Diego Licopoli

     Mentre nelle librerie è già in bella evidenza da qualche giorno il suo terzo romanzo , "La dama fantasma", che stavolta esplora con inedita suggestione i sentieri tortuosi del mistero e sul quale torneremo qui molto presto , Felice Diego Licopoli regala a questo blog un'altra delle sue originali pagine sulla nostra storia e sulla nostra civiltà, stavolta allungando uno sguardo affascinato a una  Locri  antica e a un universo di poesia ormai perduti insieme con la grandezza della civiltà magnogreca (Bruno Demasi)
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     "Al cor gentil ripara sempre Amore" scrive la penna di Guido Guinizzelli in una sua grande poesia vergata ai primordi del Dolce Stil Novo, una frase famosissima  di per sè sufficiente  a rivelare un concetto velato di intimità e di passione, tradotto nello stesso sentimento amoroso, che attecchisce nei cuori nobili di quelle persone che lo sanno cogliere, sotto forma di emozione nonché di ispirazione per innumerevoli opere artistiche e letterarie, in ogni tempo ed in ogni luogo.
    Lo stesso Dolce Stil Novo, difatti, non è stato il primo ad esplorare quest'universo intriso di sentimento; vi è stato un genere precursore infatti, che ha visto la nascita delle cosiddette "Muse terrestri" ovvero le più famose poetesse dell'antichità greca.
    Tra queste, spicca la figura di Nosside, poetessa della Magna Grecia nata a Locri Epizefiri, nell'antica Calabria, tra il IV ed il III secolo a.C, i cui versi, dispiegano le ali in ampie volute, esaltando l'Amore con parole di soave fattezza: "Nulla è più dolce d'amore; ed ogni altra gioia viene dopo di lui: dalla bocca sputo anche il miele. Così dice Nosside: e chi Cipride non amò, non sa quali rose siano i fiori di lei". Così recita il primo epigramma rinvenuto della poetessa, che pone la dolcezza del sentimento amoroso al di sopra di qualunque cosa, persino del miele. Secondo alcune  ricerche, ella molto probabilmente discendeva da una delle famiglie della nobiltà locrese; scrisse numerosi epigrammi, di cui a noi è giunta solamente una parte; in uno di questi epigrammi, la poetessa ha tramandato il nome della madre, Teofili, così come della nonna, Cleoca, con una successione matrilineare, che ha fornito agli studiosi un'ulteriore conferma che la polis di Locri fosse fondata sul matriarcato, ed il ruolo della donna fosse di importanza fondamentale: "Era santa, che spesso scendendo in terra dal cielo visiti il tuo santuario Lacinio fragrante d'incensi, accetta il peplo ibisso che Teofili figlia di Cleoca ha tessuto per te con Nosside, sua nobile figlia ", questo l'epigramma riportante i nomi della madre e della nonna di Nosside, che racconta l'opera prettamente femminile della tessitura di una veste destinata a diventare un dono per la divinità Era, madre di tutti gli dei e moglie di Giove, realizzato in ambito domestico dalle donne appartenenti alla famiglia della poetessa. 
   E proprio in quel primo epigramma sull'Amore, invece, Nosside viene paragonata a Saffo, poetessa greca dell'isola di Lesbo; nella suddetta lirica viene notificata l'identità di vedute con il pensiero e l'ideale di vita saffici. Secondo il Cazzaniga, l'epigramma manifesta un precetto, un'affermazione etica, un preannuncio, un messaggio... L'elemento predominante  resta comunque  quello femminile; infatti la donna nei versi, assume sempre un ruolo di primaria importanza, come se fosse al centro della vita quotidiana: Ma la somiglianza tra ambedue non si limita soltanto alla componente letteraria; il fatto che a Locri fosse diffuso il culto di Afrodite, infatti, fa pensare che nella colonia greca esistesse un seguito simile a quello di Saffo, e che questo fosse guidato per l'appunto dalla stessa Nosside.
   Tuttavia, Nosside, non pretende di essere uguale a Saffo, poiché sa bene di non poter reggere il confronto. Ella tende solo a glorificare l'appartenenza della poetessa greca al suo stesso genere epigrammatico. Nosside, nella sua poesia, tende a disegnare, raffigurare, uno stato d'animo, la spiritualità di una figura, l'intima essenza di un concetto o di una situazione, fornendo così un aspetto indicativo sulla sua personalità.
     Persino Plutarco, ricorda il pensiero della poetessa locrese in una sua descrizione di Saffo, in cui afferma che la poetessa di Lesbo dice parole veramente mescolate col fuoco e con le sue parole manifesta l’ardore del suo animo.
    E dunque, alla fine, come avviene nel Dolce Stil Novo che introduce il famoso concetto di donna-angelo, è sempre l'Amore a trionfare nelle liriche di Nosside, l'amore che non trova confini nella sua immensa dolcezza, che si manifesta attraverso il desiderio passionale. Per concluder, agli ammiratori piacerebbe immaginare la poetessa seduta sulla spiaggia del suo amato Mar Ionio, a comporre versi che sanno di nostalgico addio, come l'epigramma rivolto ad un viaggiatore errante che sta per partire, che vale la pena citare:" Straniero, se navigando ti recherai a Mitilene dai bei cori, per cogliervi il fior fiore delle grazie di Saffo, di che fui cara alle Muse, e la terra locrese mi generò. Il mio nome, ricordato, è Nosside. ora va'! ".

martedì 8 settembre 2015

L'ECCIDIO TUTTO CALABRESE DELL'8 SETTEMBRE 1943

di Maria Lombardo

    Tutto ebbe inizio con l'Armistizio di  Badoglio in  quell'8 settembre del '43 :a lle ora 19:42 all'EIAR il maresciallo annunciò l'Armistizio  di Cassabile firmato il 3 dello stesso mese. I personaggi coinvolti in questo episodio sono 5 soldati tutti del Reggino: MICHELE BURELLI - nato a Cinquefrondi (RC) il 16/10/1908, coniugato, contadino; SAVERIO FORGIONE - nato a Sinopoli (RC) il 17/12/1912, coniugato, contadino; SALVATORE DI GIORGIO - nato a Cittanova (RC) il 12/12/1908, coniugato, cestaio; FRANCESCO ROVERE - nato a Polistena (RC) il 3/12/1908,contadino; FRANCESCO TRIMARCHI - nato a Cinquefrondi (RC) il 6/10/1908. 

   La storia, come afferma Orlando, inizia venerdì 3 settembre 1943, gli Americani danno l'inizio all’«Operazione Baytown” nelle acque dello Stretto. Ai canadesi però giunge l'ordine di raggiungere via litoranea la Sila e di ricongiungersi con le forze che stavano per sbarcare a Bagnara, a Gioia Tauro, a Pizzo. La guerra stava finendo!
   Intanto ad Acquappesa (CS), in una caserma si verifica un fatto increscioso: alcuni soldati calabresi lasciano la loro postazione per far ritorno a casa. I soldati si sparpagliano per le alture ma alla fine solo 5 soldati tutti residenti nella Piana di Gioia Tauro vengono puniti. Braccati dal Crucitti per ordine del colonnello Ambrogi vengono scovati e riportati al comando. L'ordine è di fucilazione per diserzione: mentre gli Americani avanzano i Tedeschi scappano e nessun ordine definitivo è giunto sul comportamento da tenere. In serata arriva la risposta del generale Chatrian: «Fucilateli immediatamente».
    Con in mano quel foglietto che è una sentenza di morte, il col. Ambrogi predispone il plotone di esecuzione. Ancora una volta è il cappellano a chiedergli un rinvio, almeno fino al giorno dopo. Il sacerdote chiede di poter confessare quei poveri giovani, dare loro la comunione, raccogliere le loro ultime volontà, cercare in qualche modo di confortarli. Il permesso gli viene accordato. Nessuno in quella caserma desidererebbe eseguire gli ordini gli Alleati che hanno già raggiunto Rosarno e Nicotera e sono sbarcati, pur con qualche difficoltà, a porto Santa Venere, vicino Pizzo. Al termine di un drammatico colloquio il cappellano chiede di recarsi lui stesso dal gen. Chatrian per scongiurarlo di sospendere la terribile decisione, ma non viene ascoltato: i disertori devono morire.
    Ad Acquappesa vi è aria di sommossa il popolo vuole salvi i 5 prigionieri: scoppiano tumulti con lanci di pietre e urla disumane e l'esecuzione viene sospesa. L'indomani un dispaccio del generale giunge ad Acquappesa: «Pena gravi sanzioni vostro carico datemi assicurazione entro 24 ore aver eseguito fucilazione». Non resta che obbedire!. Inizia la ricerca di un luogo adatto e appartato: intorno alle 23 il tutto deve essere concluso. Alle 19,45 dalla radio del Reggimento i soldati apprendono la firma dell'armistizio e ascoltano col fiato sospeso. L'esultanza è enorme: soldati e ufficiali urlano e saltano per la gioia, si abbracciano felici; i cittadini di Acquappesa scendono in strada e il parroco del paese fa suonare le campane a distesa. Tutti pensano che la fucilazione dei cinque soldati verrà sospesa, ma alle 23 tutto è pronto per l'esecuzione dietro il cimitero. Ambrogi ordina: «Entro un'ora devi passare per le armi quei cinque soldati disertori». L'ordine viene eseguito intorno alla mezzanotte, quando già le navi alleate hanno iniziato lo sbarco a Salerno. I 5 giovani calabresi cadono al suolo e vengono seppelliti seduta stante in quel cimitero. Le loro salme , nei primi anni Sessanta, furono traslate nel cimitero di Condera a Reggio Calabria e ivi riposano insieme a migliaia di altri caduti, vittime di un conflitto che non avevano voluto né compreso.
   Nello studio degli eventi storici calabresi una pagina importante è occupata dagli episodi che investirano la nostra Regione durante la Seconda Guerra Mondiale. Purtroppo molti degli eventi che riguardano l'estate del '43 non sono stati mai raccontati.

giovedì 3 settembre 2015

...COME LA STORIA DEL PESCATORE CALABRESE CHE DIVENTA PASCIA’…

di Felice Delfino
   Il dibattito tra la “grande” storia ufficiale e la presunta “microstoria “ locale è da sempre ingiustamente appesantito dall’ equivoco di fondo che vi sia differenza sostanziale nell’ indagine storica solo a seconda dell’ambito che si indaga: nazionale, sovranazionale o provinciale o addirittura paesano. La differenza semmai sta solo nel metodo e nella dimensione in cui lo studioso si pone: quella di narrare criticando e inquadrando gli eventi ( anche Benedetto Croce indagò piccole consuetudini di provincia e fece storia vera, non cronaca di folklore) oppure quella di annotare acriticamente, come sempre più spesso accade nella dimensione storiografica localistica, che a volte diventa campo di battaglia tra presunti storici con  le loro acrimonie fanciullesche legate a contese riguardanti una data, un dettaglio, un particolare e non il quadro generale che spesso viene trascurato e altrettanto spesso non capito...(B. D.)
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   Storia del villaggio o popolana: così spesso è stata ingiustamente considerata la storia locale. Una definizione inesatta che ridimensionerebbe a torto la valenza effettiva che la microstoria deve rivestire.
    La rivista francese Les Annales sulle soglie degli anni Trenta del secolo scorso, rivalutò questa considerazione fortemente discriminante collocando la storia locale nell’alveo delle scienze sociali. In effetti, le vite di uomini e di donne, pur rimaste nell’anonimato s’intrecciano nel più ampio contesto della storia generale.
    Per scopi sociali e antropologici è bene dunque inquadrare la macro-storia nella micro-storia, rivolgendo l’attenzione degli studiosi non solo verso gli uomini importanti della tradizione storica ma riservare un giusto spazio anche ad individui del passato il cui ricordo è sbiadito o nullo.
    Andiamo  a conoscere qualcuno vissuto in Calabria,  che pur non ricevendo il meritato onore nelle pagine delle cronache storiche italiane si è distinto  per ingegno o per altre indiscutibili qualità. Isola Capo Rizzuto è il teatro di questa vicenda  , cui ho voluto attribuire significativamente  il titolo “Da pescatore a pascià”.
   E'  la storia di un pescatore di Isola, Giovanni Galeni, ricordato da alcuni come analfabeta e rozzo, che avrà dalla sua la benevolenza del fato: Giovanni era dedito come di consueto alla pesca, quando fu catturato e fatto schiavo dai turchi ottomani (XVI secolo). La sua vita servile fu molto dura, intensa e lunga.
   Per quattordici anni fu costretto al remo della galera ma la sua tenacia e la sua durezza gli consentiranno di lasciarsi alle spalle le sue umili origini. Fu l’inizio di una scalata graduale e progressiva verso i vertici di rilievo della società islamica del tempo: rais della flotta d’Alessandria d’Egitto, gran pascià di Tripoli ed infine governatore di Algeri.
    Diamo allora ragione al detto “nascere con la camicia” e Giovanni che poi, come vedremo, divenne Alì, di fortuna ne ebbe tanta. Se fosse rimasto in Calabria di lui oggi non si parlerebbe né a Isola, né soprattutto in Turchia: ad Istanbul, vi è una statua in suo onore e la storia turca lo ricorda.