giovedì 3 settembre 2015

...COME LA STORIA DEL PESCATORE CALABRESE CHE DIVENTA PASCIA’…

di Felice Delfino
   Il dibattito tra la “grande” storia ufficiale e la presunta “microstoria “ locale è da sempre ingiustamente appesantito dall’ equivoco di fondo che vi sia differenza sostanziale nell’ indagine storica solo a seconda dell’ambito che si indaga: nazionale, sovranazionale o provinciale o addirittura paesano. La differenza semmai sta solo nel metodo e nella dimensione in cui lo studioso si pone: quella di narrare criticando e inquadrando gli eventi ( anche Benedetto Croce indagò piccole consuetudini di provincia e fece storia vera, non cronaca di folklore) oppure quella di annotare acriticamente, come sempre più spesso accade nella dimensione storiografica localistica, che a volte diventa campo di battaglia tra presunti storici con  le loro acrimonie fanciullesche legate a contese riguardanti una data, un dettaglio, un particolare e non il quadro generale che spesso viene trascurato e altrettanto spesso non capito...(B. D.)
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   Storia del villaggio o popolana: così spesso è stata ingiustamente considerata la storia locale. Una definizione inesatta che ridimensionerebbe a torto la valenza effettiva che la microstoria deve rivestire.
    La rivista francese Les Annales sulle soglie degli anni Trenta del secolo scorso, rivalutò questa considerazione fortemente discriminante collocando la storia locale nell’alveo delle scienze sociali. In effetti, le vite di uomini e di donne, pur rimaste nell’anonimato s’intrecciano nel più ampio contesto della storia generale.
    Per scopi sociali e antropologici è bene dunque inquadrare la macro-storia nella micro-storia, rivolgendo l’attenzione degli studiosi non solo verso gli uomini importanti della tradizione storica ma riservare un giusto spazio anche ad individui del passato il cui ricordo è sbiadito o nullo.
    Andiamo  a conoscere qualcuno vissuto in Calabria,  che pur non ricevendo il meritato onore nelle pagine delle cronache storiche italiane si è distinto  per ingegno o per altre indiscutibili qualità. Isola Capo Rizzuto è il teatro di questa vicenda  , cui ho voluto attribuire significativamente  il titolo “Da pescatore a pascià”.
   E'  la storia di un pescatore di Isola, Giovanni Galeni, ricordato da alcuni come analfabeta e rozzo, che avrà dalla sua la benevolenza del fato: Giovanni era dedito come di consueto alla pesca, quando fu catturato e fatto schiavo dai turchi ottomani (XVI secolo). La sua vita servile fu molto dura, intensa e lunga.
   Per quattordici anni fu costretto al remo della galera ma la sua tenacia e la sua durezza gli consentiranno di lasciarsi alle spalle le sue umili origini. Fu l’inizio di una scalata graduale e progressiva verso i vertici di rilievo della società islamica del tempo: rais della flotta d’Alessandria d’Egitto, gran pascià di Tripoli ed infine governatore di Algeri.
    Diamo allora ragione al detto “nascere con la camicia” e Giovanni che poi, come vedremo, divenne Alì, di fortuna ne ebbe tanta. Se fosse rimasto in Calabria di lui oggi non si parlerebbe né a Isola, né soprattutto in Turchia: ad Istanbul, vi è una statua in suo onore e la storia turca lo ricorda.