mercoledì 25 maggio 2016

UN PALAZZO DELLA CULTURA TRA TANTI MONUMENTI ALLA BRUTTURA

di Bruno Demas

     Tra tanti monumenti al nulla e al brutto costruiti negli ultimi decenni dai vari livelli della politica locale , il palazzo oggi aperto a Reggio e  intitolato  a Pasquino Crupi, il primo in un contesto sociale che sembra rifiutare da sempre, la cultura maiuscola e quanto ad essa appartiene, acquista una dimensione gigantesca e riesce a filtrare ancora qualche speranza.
    Reggio e provincia lo debbono in primis all’inventiva e al coraggio di Edoardo Lamberti Castronovo – e lo dico senza inutile e, peraltro immotivata, piaggeria - . E’ una meta nuova per gli studenti della Provincia, un significativo e concreto ausilio alla legalità che bandisce gli abituali fiumi di parole per ridare alla gente il gusto del bello e farla riappropriare di un patrimonio della collettività: una ricca collezione di quadri confiscata definitivamente a Gioacchino Campolo, il "re dei videopoker" che investiva i proventi delle slot machine in dipinti preziosi. 

    Sono 124 i dipinti che arricchiscono il palazzo trasformato in museo in una gara contro il tempo e l’inefficienza che da sempre opprime lo svolgimento dei lavori pubblici ed aperto al pubblico nell'ambito della memorabile edizione 2016 degli "Stati generali della cultura".
    Oltre alla collezione confiscata a Campolo c'è anche la "San Paolo", composta da preziose icone raccolte con cura e passione da Don Francesco Gangemi, il sacerdote di Santa Cristina d’Aspromonte, reggino d’adozione, maestro di tutti i latinisti viventi, troppo presto dimenticato.: un "San Giorgio con il volto sfregiato", originariamente attribuito ad Antonello da Messina; un bozzetto di Raffaello e una "Madonna con bambino" di Cima da Conegliano. 

   Come non essere d'accordo con   Lamberti Castronuovo quando afferma che solo  in occasioni simili, in queste iniziative c’è  veramente  lo Stato. Quello stato invocato a gran voce in tanti episodi di ignominia civile e sociale che si fa qui realmente presente , non come entità astratta, ma come artefice di emancipazione culturale e sociale in una città dilaniata dalla sua stessa storia recente: un museo con una collezione dal valore immenso. 
    Il Palazzo della Cultura, che immortala il già grande nome di Pasquino Crupi, insieme a vari altri edifici, tutti confiscati alla ndrangheta, oggi è emblema di quella voglia di ricominciare. Una voglia che – spero – pervada anche tanti amministratori delle realtà comunali della provincia dove finora i beni confiscati sono rimasti – bene che sia andata – territorio di scorribande di topi.