sabato 28 maggio 2016

GIU’ NEL MEDITERRANEO…VI INSEGNAMMO IL PANE..

di Saverio Pazzano
  
    Altri naufragi nel Mediterraneo.
    La Fortezza Europa organizza accoglienze e respingimenti, dall’alto della sua sapienza. 
   Che viene tutta dal mondo che ora trattiamo come sub-civile. 
 
Vi insegnammo il pane,
che voi chiamate nostro e quotidiano,
vi insegnammo il chicco nella spiga,
e a farne farina.
Vi insegnammo il caldo del forno,
la carezza all’impasto.
Vi insegnammo il vino,
nostre erano le pecore che tornarono ubriache,
vi insegnammo gli acini al sole,
a rafforzare la vite.
Vi insegnammo che le stelle erano troppe,
che non ci sono mani per contarle,
vi lasciammo i numeri in punta di dita,
il segno dell’uno la somma ed il niente,
il tutto e lo zero.
Contammo le stelle per navigare il mare,
anche questo vi spiegammo.
Vi insegnammo i porti,
l’attenzione al vento,
a limitare la rabbia del fiume,
vi spiegammo l’acqua nei chiostri,
il suono della fontana nei vostri giardini.
Vi insegnammo i disegni sui muri,
la forma della parola,
a disegnare il pensiero,
la lettera che corrisponde al suono.
Vi insegnammo la musica,
la corda che accarezza l’aria,
l’armonia dentro la canna,
la musica dentro il soffio.
Vi insegnammo l’amore
dentro la poesia,
la meraviglia dei corpi
al profumo di unguenti.
Vi insegnammo il libro, 
la carta e la memoria,
vi insegnammo Dio, perfino,
il vostro Dio,
bambino esule straniero ribelle,
vi insegnammo.
Vi insegnammo l’incontro,
perché voi lo ricordaste a noi,

 al tempo.

mercoledì 25 maggio 2016

UN PALAZZO DELLA CULTURA TRA TANTI MONUMENTI ALLA BRUTTURA

di Bruno Demas

     Tra tanti monumenti al nulla e al brutto costruiti negli ultimi decenni dai vari livelli della politica locale , il palazzo oggi aperto a Reggio e  intitolato  a Pasquino Crupi, il primo in un contesto sociale che sembra rifiutare da sempre, la cultura maiuscola e quanto ad essa appartiene, acquista una dimensione gigantesca e riesce a filtrare ancora qualche speranza.
    Reggio e provincia lo debbono in primis all’inventiva e al coraggio di Edoardo Lamberti Castronovo – e lo dico senza inutile e, peraltro immotivata, piaggeria - . E’ una meta nuova per gli studenti della Provincia, un significativo e concreto ausilio alla legalità che bandisce gli abituali fiumi di parole per ridare alla gente il gusto del bello e farla riappropriare di un patrimonio della collettività: una ricca collezione di quadri confiscata definitivamente a Gioacchino Campolo, il "re dei videopoker" che investiva i proventi delle slot machine in dipinti preziosi. 

    Sono 124 i dipinti che arricchiscono il palazzo trasformato in museo in una gara contro il tempo e l’inefficienza che da sempre opprime lo svolgimento dei lavori pubblici ed aperto al pubblico nell'ambito della memorabile edizione 2016 degli "Stati generali della cultura".
    Oltre alla collezione confiscata a Campolo c'è anche la "San Paolo", composta da preziose icone raccolte con cura e passione da Don Francesco Gangemi, il sacerdote di Santa Cristina d’Aspromonte, reggino d’adozione, maestro di tutti i latinisti viventi, troppo presto dimenticato.: un "San Giorgio con il volto sfregiato", originariamente attribuito ad Antonello da Messina; un bozzetto di Raffaello e una "Madonna con bambino" di Cima da Conegliano. 

   Come non essere d'accordo con   Lamberti Castronuovo quando afferma che solo  in occasioni simili, in queste iniziative c’è  veramente  lo Stato. Quello stato invocato a gran voce in tanti episodi di ignominia civile e sociale che si fa qui realmente presente , non come entità astratta, ma come artefice di emancipazione culturale e sociale in una città dilaniata dalla sua stessa storia recente: un museo con una collezione dal valore immenso. 
    Il Palazzo della Cultura, che immortala il già grande nome di Pasquino Crupi, insieme a vari altri edifici, tutti confiscati alla ndrangheta, oggi è emblema di quella voglia di ricominciare. Una voglia che – spero – pervada anche tanti amministratori delle realtà comunali della provincia dove finora i beni confiscati sono rimasti – bene che sia andata – territorio di scorribande di topi.

sabato 14 maggio 2016

IL PORTO DI GIOIA T. TRA CITTA’ METROPOLITANA E NUOVI EQUILIBRI GEOPOLITICI

di Domenico Napoli

    È questo il titolo di un saggio di prossima uscita per le edizioni Città del Sole e Avatar éditions curato da CE.F.R.I.S. (Centro per la Formazione, la Ricerca, l'Innovazione tecnologica e lo Sviluppo) e IsAG (Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie).
   L'idea di questa nuova pubblicazione sul porto calabrese nasce in seno alla collaborazione, suggellata da una convenzione, che i due enti hanno avviato già da qualche anno e che si prefigge di realizzare, promuovere e divulgare ricerche e studi nel campo delle scienze sociali, politiche, economiche e culturali. Lo scopo è, dunque, fornire utili elementi di riflessione sia agli attori decisionali che a potenziali partner internazionali con i quali intessere nuove relazioni funzionali allo sviluppo dei territori. In tale prospettiva, i due organismi hanno già organizzato una serie di convegni, inerenti la tematica oggetto della pubblicazione, con il precipuo intento di mettere in luce il potenziale che la centralità geografica, in via del tutto naturale, e i nuovi assetti geopolitici conferiscono al porto calabrese, ponendolo non più solo “porta dell'Europa”, ma centro del Mediterraneo e volano dell'economia meridionale, nazionale e finanche euro-mediterranea.
   In questo volgere di scenari geopolitici e geo-conomici, il porto di Gioia Tauro potrebbe giocare un ruolo da protagonista, divenendo una vera e propria piattaforma logistica per l'intera area mediterranea nonché centro nevralgico per gli scambi tra nord e sud. É chiaro che per far ciò occorrerebbe far fronte, principalmente, alla carenza infrastrutturale al fine di velocizzare e rafforzare i collegamenti tra Gioia Tauro e le maggiori piazze di scambio economiche dell'Italia settentrionale e dell'Europa.

   Una maggiore rilevanza strategica potrebbe, inoltre, derivargli dalla costituzione della “Zes” (Zona Economica Speciale) e dalla messa in opera del tanto ambizioso, quanto contestato, progetto di realizzazione di un terminal per la rigassificazione e lo stoccaggio di gas liquefatto, che rientra nel più ampio progetto di fare dell'Italia un hub del gas del Mediterraneo, una sorta di nodo di smistamento sud europeo.
   Per sviluppare il potenziale che la centralità geografica conferisce naturalmente al porto di Gioia Tauro, non può inoltre prescindersi dalla messa a punto di un quadro globale di fattori quali l'efficienza, la qualità, il decisionismo e la coerenza politico territoriale, necessari per attribuire all’area la centralità strategica auspicata. Tale quadro potrebbe, tuttavia, essere supportato dalla nascente Città Metropolitana che, per fungere da città del grande hub portuale, dovrà dimostrarsi all'altezza di tale ruolo nonché capace di avviare buone pratiche con validi interlocutori. Essa inoltre dovrà ripensarsi in modo “innovativo” e “intelligente”, usufruendo dell'ausilio delle alte tecnologie e realizzando nuove infrastrutture che garantiscano uno sviluppo sostenibile, inclusivo e non alienante, che tenga conto delle reali esigenze del cittadino, della sua dignità e dei suoi diritti fondamentali. 

   Il volume, curato da Filippo Romeo, Domenico Napoli e Massimiliano Porto, ha già suscitato notevole interesse, ha raccolto i contributi di autorevolissimi accademici, ricercatori e manager ed è suddiviso in cinque sezioni, ognuna delle quali affronta gli elementi cruciali per lo sviluppo dell'infrastruttura e dell'area circostante. La prima sezione, dal titolo “Gioia Tauro nel nuovo contesto geopolitico” offre al lettore un ampio quadro geopolitico utile a comprendere il complesso scenario mediterraneo. Nella seconda sezione, dal titolo “Portualità ed infrastrutture di trasporto”, vengono messe in evidenza le potenzialità e le carenze infrastrutturali. Nella terza “Gas: fattore di progresso e integrazione dei Paesi del mediterraneo”, si affronta la tematica energetica approfondendo con eminenti esperti di settore la questione del rigassificatore e ipotizzando l'eventuale realizzazione di un impianto a celle a combustibile nell'area retro portuale per la produzione di energia pulita. Nella quarta sezione, denominata “Alta formazione e Ricerca per una nuova centralità del sapere nello spazio Euromediterraneo”, si affronta il tema della formazione come fattore di sviluppo per l'area auspicando che quest’ultima possa fungere da centro di diffusione dei nuovi saperi per l'intero bacino del Mediterraneo. Nella quinta e ultima sezione, “Economia e giustizia pilastri dello sviluppo”, sono contenute delle riflessioni di carattere economico e giuridico secondo cui non potrà esistere sviluppo in assenza di una giustizia certa e di un'economia che guarda al mercato perdendo di vista l'uomo.
    Il volume verrà presentato il prossimo giugno a Roma, presso la Nuova Aula del Palazzo dei Gruppi Parlamentari (Camera dei Deputati) in Via Campo Marzio, 74.

domenica 8 maggio 2016

LA CARITA’ A REGGIO, …QUELLA VERA


I 100 PASTI AL GIORNO OFFERTI DAL DR. ANTONINO SCARAMOZZINO
di Bruno Demasi

   Non sempre e non per tutti la carità è Carità. Men che mai quando il dispiegamento di forze – pubblicitarie e non – ammanta di sussiego e di vanità un sostanziale vuoto di coraggio e di impegno e non di rado un concomitante pieno di interessi più o meno evidenti perché più o meno malcelati.
   Reggio è la città delle contraddizioni e dei paradossi, delle paure e degli egoismi messi avanti persino negli atti più fisiologici del quotidiano, ma è anche la città dei silenzi.
   Al 90% si tratta di silenzi che nascondono molto perché molto si deve nascondere. Al restante 10  % si tratta invece di un silenzio evangelico che non ha nulla da nascondere, ma che aspira soltanto a non vantarsi di nulla, in controtendenza con quello sterminato sottobosco di mestieranti della carità che non sempre riescono a fare la Carità...
   Alla   seconda dimensione percentuale, decisamente minoritaria, appartiene il primario pneumologo Antonino Scaramozzino di 61 anni, direttore dell’Unità di Pneumologia in un ospedale cittadino, che a proprie spese offre 100 pasti al giorno e cure mediche gratuite ai bisognosi di Reggio Calabria.

    Insieme al fratello porta avanti l’attività in collaborazione con i Padri domenicani e ha messo a disposizione i locali, mentre la Scuola allievi carabinieri garantisce i pasti offerti dalla mensa.
    ”Ci sono tante persone che hanno bisogno di aiuto – afferma Scaramozzino – all’Osservatorio malattie rare e sono in prevalenza italiani, disoccupati, senzatetto, padri separati, anziani e malati. Trovo vergognoso che ci sia ancora chi e’ costretto a frugare nella spazzatura“.
    Ma la vergogna non è da tutti. Men che meno di chi non si vergogna di vantarsi della carità di mestiere , dimentica le vere vergogne della povertà e non fa nulla per vergognarsene per la propria parte.

mercoledì 4 maggio 2016

FERDINANDO MITTIGA BRIGANTE D’ASPROMONTE


di Maria Lombardo 

   Ormai non c’è più limite all’indecenza di dipingere tutti i briganti come salvatori della Patria! E’ vero molti di loro lo furono, hanno lottato fino alla fine per difendere il Re Borbone e riportarlo alla “restaurazione”. Ma dipingere alcuni come onesti e buoni personaggi, ammantarli ex post di vittimismo per le scelte fatte, è storicamente sbagliato!
    Tanto per la cronaca - e probabilmente le menti più “fervide” del meridionalismo storceranno il naso - in Calabria il brigantaggio faticò ad attecchire. Tanto meno si sviluppò nel Reggino dove in fondo si è enumerato un solo brigante: Ferdinando Mittiga.
    La più recente letteratura meridionalista lo ha descritto come una sorta di Robin Hood, ma ha omesso vistosamente di dire che Don Mittiga si era schierato contro i Borbone sia pure a favore di poveri ed oppressi, ma, cambiato il Re, anche lui voltò pagina e creò una banda di 250 uomini contro i Savoia.
   Andiamo per gradi e cerchiamo di capire chi era veramente questo strano personaggio.
   Nella storia delle Due Sicilie Ferdinando appare per la prima volta nel 1848 sulla costa jonica di Bovalino-Ardore. Scrive infatti il Regio giudice Gualtieri al Procuratore Generale del Re in data 10 settembre 1848: «Gli insorti, prima di partire da Ardore obbligarono il custode ad aprire le prigioni e liberarono al grido « Viva l’Italia; viva Pio IX i carcerati Ferdinando Mittiga e Domenico Carbone di Platì, condannati per ferite con coltello».
    Il Mittiga operava sulle alture aspromontane tra Platì e Gerace una volta in libertà, divenne persino la guida del Borjès. Si sa infatti che il generale Clary, capo del comitato borbonico di Marsiglia, fece partire dalla Calabria l’impresa insurrezionale per una restaurazione legittimistica. La fierezza dei calabresi giocò un ruolo determinante se si suggerì al generale spagnolo di rinnovare l’impresa del cardinale Ruffo di sessant’anni prima, sfruttando la presenza nel reggino di Ferdinando Mittiga.
    Era soprannominato «Caci»: in Calabria dalla notte dei tempi le persone vengono distinte con i soprannomi . Il soprannome «Caci» è di chiara origine greca (katia = cattiva fama, cattiveria) e non è il solo grecismo presente nell’abitato di Platì. Innanzi tutto è il nome stesso del paese che a nostro avviso deriva dal greco «Platùs» (luogo ampio largo ed in greco ionico luogo dal sapore maleodorante, salato). In effetti la valle’ di Plati, si legge nelle Memorie di Don Vincenzo Tedesco del 1856, «la quale rende ora malagevole la comunicazione con dietro marina, si formò posteriormente per effetto del terremoto che il 1638, mentre prima la montagna scendeva con piano inclinato in modo che in tre ore si andava da Bovalino a S. Cristina». Tra l’attuale abitato di Natile quello di Cirella esisteva prima del terremoto un ampio lago (località Lauro) di acqua salata, con intorno zone paludose 

   . Il Mittiga definito «delinquente per private inimicizie» si atteggiava come il bandito Crocco che operava nel territorio vicino di Melfi, a difensore del legittimo sovrano, ed era favorito ed eccitato dai reazionari del suo paese e di quelli vicini. La sua banda crebbe a dismisura ed era composta da ex detenuti, ex coloni mandati lì dalle prigioni di Reggio ormai sature, per bonificare l’area.
    Si rifugiavano in conventi del luogo, ma il 30 settembre il Mittiga cadde in un’imboscata tradito da uno dei suoi alla guardia Nazionale. Nulla da stupirsi: tra loro accadevano spesso questi omicidi o imboscate per incassare i denari italiani. Sono andata a cercare tra i registri degli atti di morte di Natile ed al numero 12 del foglio N. 6 l’ufficiale d’anagrafe del tempo Francesco Strangio, annotava che i testimoni Antonio e Francesco Callipari dichiaravano che «il Trenta del mese di settembre alle ore undici era morto Ferdinando Mittiga, di anni trentatrè da Platì, di Francesco e di Dorotea Brui».Ad avallare il mio racconto ci sono consultabili per tutti niente di meno che le Memorie di Borjès, che narra dapprima della diffidenza con cui era stato accolto dal brigante platiese, e, poi, di come era stato abbandonato in mezzo all’Aspromonte, vicino a Giffone, dai “valorosi” combattenti di Mittiga. Il Generale ancora al momento della cattura dice ai piemontesi nella persona del Tenente Staderini: «Iba a decir al Rey Francisco II que no hai mas que malvados y miserables para defenderlo» (Stavo andando dal re Francesco II a dirgli che non ci sono che malvagi e miserabili a difenderlo). 

   Le guardie portarono la testa mozza del Mittiga conficcata ad un palo in giro per il paese di Platì e poco dopo il Generale De Gori diede l’immediato ordine di sepoltura, arrabbiandosi non poco per la sceneggiata. Qualche anno più tardi sulle Rocce dell’Agonia un massaro di Platì trovò un forziere e a sera si preoccupò di consegnarlo all’arciprete del tempo, Don Oliva. Era ripieno di marenghi d’oro di cui, nella concitazione della fuga, il generale spagnolo Borjés fu costretto a disfarsi per alleggerirsi e scampare agli ufficiali piemontesi.
    Questo tesoro consentì l’acquisto all’asta di sterminate proprietà e diede un’impronta latifondista all’Aspromonte Orientale. C’è chi ricorda l’episodio e con sarcasmo – ridacchia esclamando: «Sordi ‘i stola, comu veni vola»! 
   I tempi dell’immaginario romantico e brigantesco appaiono ormai scalzati dai recenti eventi: ai vecchi briganti sono subentrati i nuovi briganti della società attuale, spesso travestiti da persone “perbene”.