domenica 12 aprile 2020

LA PASQUA CALABRESE CON I CRISTI NERI DI CARNE

di Bruno Demasi


    Una Pasqua calabrese ancora una volta terribile, e non solo per il Covid 19, se Pasqua ha ancora qualche significato per noi che abbiamo dimenticato troppo presto cosa essa sia stata e sia ancora e sarà per sempre.
    E' stata ed è una storia struggente di Resurrezione e di salvezza che però dalle nostre parti ci riporta ancora al peso di mille crocifissioni quotidiane che sfuggono alla nostra attenzione che il nostro sguardo evita persino di guardare per non infettarsi.
   Voglio quest'anno ripensare il mio augurio pasquale ricordando i mille Cristi neri di carne che ancora una volta all'inizio di questa pandemia moltissimi calabresi stavano aspettando al varco per issarli sulle croci , accusandoli di aver portato loro e diffuso il contagio. Ma il contagio li ha risparmiati e ci ha risparmiato nonostante la loro presenza.
    Voglio pensare a questi Cristi di carne, malati di fame e di freddo e di paura che nella loro miseria hanno fatto la fortuna di chi ha speculato sulla loro pelle urlando e additandoli per mesi interi solo per guadagnare voti. E li ha guadagnati.
   Voglio pensare a questi Cristi di carne, quasi sempre silenziosi che si inginocchiano ancora a chiedere lavoro e dignità, ma ricevono soltanto fatica malpagata e umiliazioni e sputi e impropèri. E in grande abbondanza, ma nessuno ne parla.
   Voglio pensare alle migliaia di disperati di Rosarno, Sibari, San Ferdinando, Riace che l'anno scorso sono stati scacciati dalle loro tendopoli reali o virtuali distrutte dalle ruspe salviniane, che credevano di sconfiggere la febbre rompendo il termometro, e che da allora a oggi vivono in gran parte come fantasmi sconosciuti nelle campagne di Calabria elemosinando un soldo. E non lo trovano. E se lo trovano è sudato dieci volte.

    Voglio pensare agli oltraggiati che nei giorni scorsi, pur essendo affamati, hanno rifiutato il pranzo loro recato trionfalmente e ostentato dalla Regione Calabria pur di dimostrare che loro non sono fatti solo di stomaco, ma soprattutto di cuore e di cervello e che la loro dignità offesa e annullata non si può nutrire con una vaschetta fredda di pasta al sugo.E lo hanno rifiutato.
     Voglio pensare con raccapriccio che 1987 anni di Cristianesimo da queste parti non hanno ancora insegnato nulla a certa gente, se è vero che abbiamo sempre bisogno di qualcuno su cui scaricare le nostre miserie: oggi gli immigrati, ieri quel bracciante che, come racconta Pasquale Creazzo,  poeta cinquefrondese, senza terra e senza speranza, al servizio del padrone ignavo, deve spaccarsi la schiena per sfamare la prole e urla e si maledice:
Non su cristianu: - ciucciu, nimali!
No ‘nc’è rispettu pe’ lu zappuni…
Chist’è misteri di lu crapuni.
Poc’anni arretu culonu o servu,
a mala ppena pipitijava
venia curatu a botti di nervu
chi lu patruni sumministrava.

Mo pe’ lu menu, standu abbuzzuni,
sulu lignati no’ provu cchiuni.
Ma sempi schiavu com’era aghierj
Raghu la juva cu tanti sprizzi;
Cu mangia e dormi senza penzeri
Scialaquettija ntra li ricchizzi…

     Dalla Calabria borbonica a quella dell’Italietta unitaria, come dice Creazzo, non era cambiato nulla: schiavi prima, schiavi dopo. E di possidenti imbelli, inutili, parassiti che oggi sono stati molto ben rimpiazzati da tanti politici funzionali soltanto a se stessi e da tanti padroni dal falso sorriso che assoldano manovalanza mafiosa a bassissimo costo.

    
   Quegli stessi padroni molti dei quali oggi al bar, sui social sui giornali sparano a zero contro gli immigrati che arrivano ancora sulle nostre coste , che solo in piccolissima parte vivono in qualche tendopoli , ma che in grandissima parte restano Cristi di carne nelle loro capanne marce e gelate, negli aranceti, negli uliveti, nei campi a raccogliere, seminare, irrigare, trasportare per pochi euro al giorno, con la consegna di stare zitti se non vogliono rischiare di essere per caso investiti al buio dell’alba sulle piste secondarie e fuori mano di quell’inferno sociale, storico e geografico, che si chiama Piana di Gioia Tauro.
    I Cristi di carne non hanno più nomi cristiani, ma si riconoscono lo stesso.
    E la Pasqua calabrese è ancora molto di là da venire, malgrado l'amore di Cristo sia per tutti.
    Anche per coloro i quali, pur avendolo sperimentato, non lo hanno mai avvertito.