sabato 11 novembre 2017

NDRANGHETA, MINORI E PEDAGOGIE MAFIOSE

di Maria Zappia
   Recentemente il Consiglio Superiore della Magistratura, riprendendo una buona prassi avviata dal Tribunale minorile di Reggio Calabria, ha sollecitato il Parlamento Italiano ( o quel che istituzionalmente ne resta) ad introdurre come pena accessoria del delitto associativo di stampo mafioso la vera e propria decadenza dalla potestà genitoriale, almeno nei casi di accertato coinvolgimento del figlio minore nelle attività mafiose del condannato.
    Ciò ha fatto stracciare le vesti a molti meridionalisti nostrani di ritorno che continuano a gridare allo scandalo senza chiedersi cosa esattamente ci sia in discussione e dimenticando che la vigente legislazione minorile già prevede il potere del Tribunale per i Minorenni di decretare la decadenza della potestà genitoriale nelle situazioni in cui, sulla base di congrui accertamenti effettuati anche da specialisti in materia psicologico-sociale, la permanenza del vincolo genitoriale risulti pregiudizievole alla crescita del minore.
    Un dibattito assolutamente sofferto, serio e importante che interessa da vicino molte situazioni nella piana di Gioia Tauro, e non solo, sul quale l’avvocatessa Maria Zappia -  che ringrazio di cuore per la sua spontanea e autorevole collaboraziopne a questo blog -  valente collaboratrice di testate giornalistiche di settore, interviene in maniera puntuale e assolutamente libera da pregiudizi riportando tutto il discorso nell’alveo della razionalità e del buonsenso al di là del polverone sollevato ad arte dai tanti che per desiderio compulsivo di pubblicità confondono immancabilmente le acque (Bruno Demasi).

“ L’affiliazione dei minori avviene con modalità diverse a seconda dei territori e delle organizzazioni operanti, così come il loro coinvolgimento nelle attività delittuose varia a seconda del contesto di riferimento: talvolta i giovani sono impiegati nello spaccio di droga o nel compimento di atti estorsivi e vandalici, in altri territori sono perfettamente coinvolti nelle dinamiche associative e impiegati anche per la commissione di omicidi. In questi casi la “cultura” di mafia, con i suoi valori e le sue gerarchie opera una forte attrazione nei confronti di giovani alla ricerca di un facile arricchimento e di un modello appagante per la realizzazione di sé. Si tratta, infatti, di ragazzi che respirano sin dalla nascita la cultura mafiosa che esercita sugli adolescenti un forte potere attrattivo, immettendoli senza il sacrificio dello studio o del rispetto delle regole in un mondo di potere, di leadership tra coetanei e di disponibilità economica; si tratta soprattutto di una cultura che distorce il rapporto con le istituzioni che sono viste come nemiche.”

    E’ quanto afferma , tra l’altro, il Plenum del Consiglio Superiore della Magistratura, approvando recentemente una importantissima risoluzione al fine di rendere effettiva la tutela dei minori il cui percorso di crescita ed  educativo si svolge all’interno di famiglie “di mafia”. Il documento si fonda, traendone importantissime conseguenze, su una prassi virtuosa intrapresa dal Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria i cui risultati, hanno determinato il plauso sia da parte degli studiosi della materia e sia da parte di tutti gli operatori del diritto i quali, soprattutto nelle regioni colpite da fenomeni di criminalità organizzata particolarmente gravi, si sono spesso interrogati sulle misure da adottare al fine di estirpare alla radice una sottocultura che mina dall’interno il tessuto sociale rendendolo fragile ed arretrato. L’adozione della risoluzione è stata dunque l’occasione per estendere la prassi evoluta adottata dalla Corte Calabrese e definita nello stesso testo “pionieristica” in tutto il territorio nazionale e per dettare i principi metodologici utili la pratica applicazione della tutela.

   L’idea sostanziale, il substrato ideologico dell’interno documento, è veramente idoneo a capovolgere un intero sistema di valori sui quali le strutture mafiose fondano il consenso e cioè il ritenere la famiglia mafiosa una famiglia abusante, quindi pericolosa e nociva per il sereno sviluppo della personalità del minore. Partendo dal presupposto che la famiglia mafiosa sia da parificare, quanto alla nocività, alla famiglia nella quale vi siano soggetti alcolisti o drogati, ed accertato poi in concreto e caso per caso, il pregiudizio per il minore, il magistrato minorile, procederà all’adozione di un provvedimento che limiterà la potestà dei genitori o di quel genitore che, con scellerate scelte di vita imposte o subite, hanno impedito al minore una crescita libera e dignitosa.

    Il documento è particolarmente esaustivo circa gli strumenti di intervento, modulati, lo si ribadisce, caso per caso e mirati anche al recupero della genitorialità ove vi sia una reale dissociazione dai metodi criminali. Non si tratta infatti  di provvedimenti aventi carattere punitivo nei riguardi di chicchessia, ma ispirati alla tutela dei minore, volti a preservarne la crescita, non ad arrestarne lo sviluppo. Non si applicano le norme del codice penale bensì i rimedi civilistici previsti nei casi in cui lo sviluppo della personalità del minore è messa in pericolo. In ogni momento è garantito l’ascolto del minore anche per il tramite di psicologi e viene reso possibile anche un “recupero” della genitorialità nei casi di effettiva dissociazione.

    Se attuati nei termini auspicati dalla risoluzione e con i giusti raccordi tra le varie autorità, gli interventi diventano scelte da apprezzare perché provenienti da magistrati sensibili che colgono le istanze provenienti da ambiti territoriali degradati e senza attendere interventi legislativi, di propria iniziativa, si sono coordinati al fine di incidere energicamente e demolire l’origine del fenomeno delinquenziale, l’area nella quale opera la trasmissione dei valori: la famiglia. Da questo punto di vista, proprio per la concezione puerocentrica che ispira il provvedimento il Tribunale per i Minorenni, va considerato un organo - avanposto per la “cura del minore” per l’elevazione spirituale e la crescita, una sorta di pronto soccorso di prima linea che accoglie le ferite di una società in via di trasformazione ma con degli aspetti purulenti che vanno adeguatamente sanati.

   E’ questa la vera identità della Corte di Reggio Calabria che negli anni, silenziosamente, senza ribalte mediatiche, nell’ambito di una ristretta cerchia di addetti ai lavori composta perlopiù da giuristi, ha interpretato il proprio ruolo istituzionale, in maniera esemplare giungendo a farsi portavoce di un orientamento giurisprudenziale audace e innovativo. Appare pertanto superficiale e del tutto slegata dalla reale percezione del fenomeno l’affermazione di alcuni che lo Stato operi d’imperio, che violi il sacrosanto diritto dei genitori di educare i propri figli. Per contro la scelta dei magistrati reggini è finalizzata ad arrestare il perpetuarsi di modelli culturali erronei ed antisociali intervenendo nella giusta prospettiva temporale proprio durante gli anni formativi della personalità allorquando il soggetto, privo di capacità critiche imita modelli di comportamento che trova in famiglia e ripudia quelli più corretti che provengono dalla realtà esterna.